Trent’anni di scuola media
Aggiornamento a Paestum
Il corso nazionale Trent’anni di scuola media, che si è tenuto a Paestum dal 23 al 25 ottobre 1992, ha costituito l’occasione di un primo bilancio dei tre decenni trascorsi dall’approvazione della legge 1859/62, che istituì in Italia la scuola media unica obbligatoria.
Le relazioni sono state svolte da docenti universitari, ispettori, dirigenti del Ministero della Pubblica Istruzione, esperti e dirigenti della rivista “Scuola e didattica” (che ha organizzato il corso, in collaborazione con l’Università di Salerno).
Giuseppe Vico ha ricordato che gli anni in cui nacque la nuova scuola media, quelli del boom, furono caratterizzati non solo da maggiore benessere, ma anche dall’emigrazione dal Sud al Nord (con conseguenze quali le classi di aggiornamento e differenziali, l’abbandono dei minori, il lavoro nero, l’emarginazione). La scuola ha poi attraversato il problema della droga, quello del terrorismo, del “diverso”, dei portatori di handicap, dell’inserimento dei ragazzi nel sociale (radicandosi culturalmente e umanamente nell’intero territorio nazionale). Oggi, però, essa sta diventando troppo intellettualistica: sta subendo il concetto che “educare” sarà impossibile e che essa può soltanto “istruire”. Vanno quindi ben considerate la fuga dalla scuola e la mortalità scolastica (su 100 alunni che partono in prima media solo il 30-40% arriva alla maturità); e soprattutto occorre andare a una nuova ricognizione dell’epistemologia delle varie discipline.
Damiano Ricevuto ha sottolineato la necessità, per la scuola media, di porre l’accento su un sistema di orientamento che non sia un compartimento stagno rispetto a quello della scuola superiore. La legge 1859, la legge 517, i programmi del 1979 sono stati strumenti di confronto tra docenti da una parte e momento evolutivo dei ragazzi dall’altra. E oggi il docente deve avere conoscenze aggiornate sia sulla propria, sia sulle altre categorie. Anche le iniziative di sperimentazione costituiscono il nucleo su cui innestare successive
analisi e verifiche (le maggiori sperimentazioni richieste dal Ministero sono quelle dell’informatizzazione e dell’introduzione di una seconda lingua straniera: ci sono infatti già duemilacinquecento scuole che adottano la sperimentazione “bilingue”, nella consapevolezza che non è più differibile il problema del superamento del monolinguismo a livello europeo).
Giuseppe Acone ha ricordato che la scuola media unica è nata in un’altra cultura, non in quella di oggi: una cultura in cui c’era l’idea del progresso illuminato, del concetto di liberazione mutuato dalla Rivoluzione francese. Oggi però non siamo più nella cultura precedente: siamo nella complessità, nella “iper-complessità”. L’educazione non è lo sviluppo, non è l’apprendimento, non è l’istruzione, non è la socializzazione: è insieme tutto questo, ma non solo questo. La scuola media è pluri-nozionistica, enciclopedica. Ma
la pluridisciplinarità non comporta una figura compiuta, una sintesi formativa. La scuola deve quindi recuperare le forme educative della tradizione, dell’educazione civile, della legalità, di un qualche umanesimo. Dobbiamo ricollegare nel contesto della scuola i valori umanistici; va ripristinata l’obbedienza. Il diritto, la legalità: sono questi i vettori su cui puntare. Occorre dare un’idea generale alla scuola di questi anni, che recuperi la memoria, l’universalità, l’unità formativa, la solidarietà, il neo-umanesimo educativo.
Occorre ridare ai docenti l’idea generale di un compito, di un progetto più ampio, pur nella consapevolezza che la scuola non potrà avere una funzione palingenetica rispetto alla crisi della società.
Cesarina Checcacci ha messo in evidenza come la tendenza alla “scuola per tutti” sia stata presente, nella storia moderna, dalla Riforma protestante alla Rivoluzione francese e al primo Parlamento italiano (con Sella, Coppino e Correnti). Ha anche sottolineato l’impegno dell’UCIIM, fin dal 1946, per una scuola media unica a indirizzo pre-umanistico (a fronte delle varie scuole superiori con indirizzo specialistico), orientativa e non preclusiva, tesa all’educazione umana e sociale. Ha ricordato come le difficoltà incontrate dalla scuola media siano anche derivate dalle immissioni in ruolo senza concorso e dalla debole professionalità dei docenti e ha concluso auspicando tre cose: 1) che il tempo prolungato superi la sua impostazione assistenziale; 2) che sia maggiormente curato il tema della continuità educativa tra elementari e medie; 3) che si presti maggiore attenzione allo studio dell’Italiano (origini, rapporti col Latino, analisi logica) e al problema dell’autonomia didattica (che però non deve essere contrabbandata per programmatico spontaneismo).
Giorgio Moretti ha parlato dell’integrazione dei ragazzi in difficoltà (ricordando De Santis, Montesano, Ferrari). Egli ha affermato che le difficoltà del soggetto disabile non dipendono dall’emarginazione; e che la scuola può essere una palestra per la “self-regulation”. Un aggiornamento utile per la scuola media è quello psicodinamico, non quello psico-conoscitivo: sulla relazione, sull’acquisizione di sé, attraverso il gruppo.
Laura Serpico Persico ha parlato del Consiglio di classe, il quale deve tener conto della “irripetibilità di ciascuna persona-alunno” e metodologicamente non deve “trasmettere”, ma “provocare”. I circa dieci docenti del Consiglio di classe devono tener presenti le variegazioni del loro compito, senza estraniarsi dalla loro identità. Concordare modalità di verifica, fini, obiettivi: questo è il lavoro sottile del Consiglio di classe, per giungere all’orientamento e alla crescita armonica del ragazzo. Spesso su un medesimo alunno ci sono giudizi contrastanti. Ma non emerge mai, nel Consiglio di classe, la domanda: “Forse siamo noi docenti a sbagliare?”. (Il ragazzo può infatti avere sfiducia in sé con un docente e non con un altro). Il Consiglio di classe deve essere perciò una fucina: sono i docenti ad aiutare i ragazzi ad auto-orientarsi. Ciò che fa paura, nel Consiglio di classe, è l’indifferenza, “l’appiattimento burocratico”. Un Consiglio di classe produttivamente impostato, creativo, non spaventato dalle sue novità, è quello che non cede allo sconforto, che non risolve i casi difficili con la sanatoria pietosa o la repulsione senza appello; che si sente parte in causa nelle iniziative di recupero, che sa riconoscere infine in ciascuno dei colleghi la “dignità”.
Bianca Grassilli ha ricordato che unicità e obbligatorietà furono i cardini su cui veniva fondata la nuova scuola media, la quale doveva essere unica, obbligatoria, secondaria, formativa, di orientamento. In essa la programmazione è un modello didattico che cerca di assolvere al principio dell’individualizzazione. Tale modello ha, però, bisogno di supporti anche tecnologici, di strumenti scientificamente organizzati (si pensi al “master learning”, ad esempio, coi suoi modelli ben prefissati). La programmazione va quindi costruita in modo flessibile, giacché progettare non è operare (“altra cosa è essere in Consiglio di classe, altra cosa è essere in classe”).
Cristina Coggi ha parlato della valutazione, divenuta – da globale – analitica. Ha ricordato gli ambiti di analisi della diagnosi di ingresso (intelligenza, aspetti extra-cognitivi della personalità, ambiente, stato fisico, profitto e scolarità precedente), nella quale il colloquio risulta strumento privilegiato. Ha infine sottolineato che i ragazzi riescono a progredire meglio con una migliore gestione della valutazione: essi vogliono, infatti, un aiuto a “diventare migliori”, non solo un giudizio sul rendimento scolastico.
Arles Santoro ha insistito sull’opportunità dell’insegnamento del Latino nella scuola media. Ricordando l’opposizione di Concetto Marchesi alla liquidazione del Latino (“voluta dal PSI e dal PCI”), si è detto convinto che per il Latino – nel rafforzamento dell’educazione linguistica – l’unica strada è la riflessione linguistico- teorica, unita a un misurato studio dell’analisi logica dell’Italiano.
Cesarina Dolfi ha rievocato i due problemi che erano sul tappeto alla vigilia della legge istitutiva della scuola media unica: l’eliminazione del Latino e l’abbinamento Matematica – Osservazioni scientifiche. Oggi il problema prevalente è quello degli abbandoni, che si verificano in misura maggiore negli Istituti professionali e in quelli tecnici (per difficoltà legate soprattutto alla Matematica e alle Scienze, oltre che all’Italiano).
Giuseppe Iadanza ha ricordato come al docente si richiedano solida conoscenza scientifica, capacità di comprensione dei problemi del pre-adolescente, orientamento. Tuttavia ciò che ha reso poco incisiva la capacità orientativa della scuola media è stata la mancata attenzione a un apposito progetto, la mancanza di comunicabilità con la scuola superiore.
Nazareno Donzelli ha analizzato il problema della mortalità scolastica nella scuola media: 15-20% nelle prime, 8% nelle seconde, 5-6% nelle terze. Per ben valutare le difficoltà di realizzare gli obiettivi di una “scuola di tutti e di ciascuno”, occorrerebbe confrontare tali dati con l’insuccesso dei primi anni delle scuole superiori. C’è poi anche l’insuccesso sommerso: il basso livello delle conoscenze, la fluttuazione delle performances, il diffuso abbandono (da parte di molti docenti) degli obiettivi minimali.
Norberto Galli ha parlato dell’educazione ai “valori” nella scuola del preadolescente. Egli ha distinto una prima adolescenza (11-14 anni) da una seconda (15-18 anni) e ha ricordato l’importanza di ciò che avviene nella prima: il passaggio dalla logica concreta alla logica astratto-formale, cioè dalla capacità di ragionare su cose concrete (visibili, manipolabili) alla capacità di operare sui simboli, di padroneggiare il concetto di tempo, di “maneggiare idee” (come diceva Piaget). Prima dei dieci anni il ragazzo accoglie il problema dei valori in forma eterodiretta (rispetto per gli adulti, rispetto per il lavoro, per non perdere la fiducia che gli adulti hanno in lui), mentre nell’adolescenza il soggetto riesce a comprendere i motivi del suo agire intorno ai valori, che egli riconosce come valori universali. Nel Consiglio di classe ci sono docenti che aderiscono a diverse antropologie (le quali spesso presentano differenze contraddittorie). Punto di accordo cui puntare è appunto il problema dei valori, cioè orientare la persona alla verità nella libertà. Prima vengono i valori psico-affettivi e sessuali. Nella pubertà c’è una nuova fenomenologia e ogni insegnante deve tendere a un compito educativo che punti al dover essere della persona, alla promozione del rispetto di sé e degli altri (l’educazione sessuale non deve, quindi, essere solo istruzione sanitaria e biologica, come in Francia). Ci sono poi i valori etico-religiosi: l’educazione morale, che nessuna scuola insegna. Ci sono infine i valori sociali e politici: l’adolescente si accorge che la comunità in cui egli vive è regolata da norme e per questo egli va educato al rispetto delle leggi, all’amore verso i simili, alla lettura della Costituzione.
Giuseppe Bertagna ha, infine, ricordato il ruolo e l’impegno della rivista «Scuola e didattica», sia nel dibattito che portò al varo della legge 1859/62, sia in quello dell’intero arco storico di questi primi trent’anni di scuola media unica.
( La Voce della Scuola: Nord-Sud, dicembre 1992 )