L’invito a scrivere sulla mia scuola di Milano mi è venuto da Giovanni Amendola e Guglielmo Sirica, i miei due colleghi condirettori di «InComune».
Ho avuto qualche perplessità, ma ho riconosciuto subito giusta la sollecitazione. Illustrare la vita di una scuola dell’obbligo milanese non significa, infatti, solo esporre me stesso nella vetrina dell’emigrazione (il che pure sarebbe coerente, dopo che ho prestato attenzione, per anni su «InComune», alle storie di emigrazione); significa anche e soprattutto rintracciare una ricerca dei contributi possibili che si offrono a questo nostro territorio del Mezzogiorno.
I materiali raccolti (e pubblicati qui accanto) sono certo un florilegio modesto del laboratorio di attività che, a fine anno, la Galileo Ferraris raccoglierà nel suo numero unico (un “giornale”, a 12 o a 8 pagine, da distribuire alle famiglie della Zona 17 di Milano). Tuttavia essi già danno il segno di differenze strutturali non lievi.
Nel settembre 1989 fui trasferito dalla scuola media “Amendola” di Sarno alla scuola media “Ferraris” di Milano, quale Dirigente scolastico di ruolo vincitore di concorso. Si pensi, per fare un solo esempio, al servizio di medicina scolastica.
C’è qualche USL, qui da noi, capace di organizzare un “servizio” di medicina scolastica e di garantire la prevenzione?
Milano, inoltre, offre la refezione scolastica a migliaia di alunni delle scuole dell’obbligo. Noi del Sud quante scuole abbiamo, dove l’organizzazione del tempo prolungato sappia eludere l’appiattimento sulla logica antica del “doposcuola”?
Forse non stupisce un Nord più avanzato nell’impegno per l’integrazione dei portatori di handicap. Sorprende invece la separazione netta, da noi, tra poteri decisionali e organismo sociale: a Milano il Preside è, con altri rappresentanti sociali, in tutte le Commissioni costituite per l’intervento scolastico del Consiglio Circoscrizionale (Consiglio che, nel decentramento, è l’equivalente del nostro Comune).
Nei nostri Enti locali – lo sanno tutti – il riparto dei fondi è “cosa nostra” solo dei rappresentanti politici.
Certo, una città grande come Milano offre spunti impensabili, qui da noi, all’innovazione didattica e formativa. Infinite sono le opportunità date dagli spettacoli (teatro, cinema, lirica, burattini, balletto), dalle strutture artistiche e museali, dagli insediamenti sportivi differenziati, dai rapidi collegamenti sotterranei e di superficie.
Ma lì gli allievi hanno anche un’altra “fortuna”: essere affidati a docenti che, da tempo, hanno messo in soffitta il tradizionale ed esclusivo metodo della lezione frontale.
Forse c’è da dire che i nostri alunni meridionali beneficiano di una “presenza” ancora costante, all’interno del corpus degli operatori scolastici: una robusta cultura, l’humanitas mediterranea, la creatività, la “poesia”. Tuttavia ciò non basta più, per ridurre il divario tra le due Italie. C’è bisogno di altro.
( InComune, gennaio-marzo 1990 )