Incontrai le qualità tecnico-artistiche dell’architetto Raffaele Di Domenico oltre quarant’anni fa, allorché egli curò la scenografia dello spettacolo “La tarantella di Masaniello” allestito dal “Piccolo Teatro d’Arte” e rappresentato nel cinema-teatro Moderno di Sarno prima della sua definitiva chiusura.
Le scenografie dei miei spettacoli hanno sempre evitato gli orpelli, le copie, il reale banalmente imitato. Al giovanissimo architetto-scenografo avevo chiesto di arricchire il nostro “spettacolo da camera” (costruito con le poesie di Salvatore Di Giacomo e alcuni arcaici brani musicali tratti dal patrimonio culturale napoletano) con un’immagine simbolica di Napoli, assolutamente non di segno oleografico. E Di Domenico realizzò una tavola in cui erano magistralmente raffigurati, con sintesi icastica e intelligente, sia il groviglio urbano di Napoli sia la sua contestuale e celebrata bellezza.
In questi ultimi anni Di Domenico ha pubblicato due libri (“Il recupero della scuola De Amicis a Sarno”, nel 2014; e “Quando Berta filava / Le industrie tessili a Sarno tra progetto e destino”, nel 2016), i quali hanno attirato molte attenzioni e per i quali ho personalmente scritto anch’io due recensioni.
Ora l’architetto ha dato alle stampe un altro bel libro, intitolato “Il territorio di Sarno / Paesaggio, ambiente, architettura” (edizioni Areablu), col quale arricchisce, e forse completa, una indagine storico-urbanistico-architettonica iniziata prima con l’analisi storica e progettuale dell’edificio che ospita la scuola elementare De Amicis e proseguita poi con lo studio degli antichi fabbricati industriali per cui Sarno ebbe il nome di “Manchester del Sud”.
Il nuovo libro contiene – dell’autore – le “riflessioni su Sarno”, accumulate nell’arco di oltre un quarantennio, ed è definito “una specie di promemoria d’idee e progetti tra i più interessanti da me affrontati, delle problematiche del territorio che mi hanno appassionato”.
Le oltre 420 pagine del volume registrano riflessioni non solo di ordine urbanistico, ma anche di natura storica, naturalistica, culturale. Le considerazioni tecniche (sullo sviluppo e l’assetto del territorio sarnese) sono, infatti, quasi sempre arricchite da rievocazioni storiche : i primi insediamenti nella Valle del Sarno, il teatro ellenistico, il Bottaccio e la Star di Foce, la via Aquileia, i Tabellari, l’acquedotto Claudio, le sorgenti del fiume col Canale del Conte e l’acquedotto della Casmez, il secolare Duomo, l’Almo Seminario, le scuole intitolate a Baccelli e a De Amicis, il terremoto del 1980, l’alluvione del 1998, le amministrazioni comunali dal dopoguerra a oggi.
Di Domenico divide in tre distinti periodi il suo rapporto col territorio: a) i dieci anni di attività professionale dopo la laurea (con progetti in buona parte realizzati a Sarno, tra cui i bei palazzi Squillante, Angelino, Landi e Auletta); b) i nove anni trascorsi al Comune in qualità di “tecnico ausiliario”, nominato dal Commissariato di Governo dopo il terremoto (in cui, tra l’altro, realizzò eleganti interventi a Foce e alla “Fontana dei Tre Cannuoli” di piazza Garibaldi, elaborando anche progetti di rimboschimento del Saretto e di risistemazione di via Nuova Lavorate e di Serrazzeta); c) infine gli anni di docente nella scuola pubblica.
Osservando i bellissimi grafici che arricchiscono il libro (una prova evidente delle notevoli capacità artistiche e tecniche del suo autore), si rimane tuttavia fortemente colpiti dall’amara disperazione e dal pessimismo che pervadono l’intero “racconto” di Di Domenico. Egli esprime, infatti, considerazioni sferzanti e terribili: “La città di Sarno meriterebbe un destino diverso, meriterebbe classi dirigenti più preparate e responsabili, tecnici più sensibili e volenterosi”; “Ho assistito senza poter far nulla a una incontrollata decadenza di questo paese”; “Si è subìto un abusivismo edilizio di massa, dei palazzinari e della complicità di tecnici infingardi, tutti dediti a distruggere la legalità e l’ordine del paese”; “A nessuno piacevano le regole, nessuno era interessato ad uno sviluppo ordinato del paese”.
Le pagine più interessanti del libro risultano, per questo, le rievocazioni della lunga storia dei Piani Regolatori Generali di Sarno, mai andati in vigore ancorché redatti da tecnici prestigiosi. E le rievocazioni hanno colpito amaramente anche me, soprattutto per gli anni in cui sono stato lontano da Sarno.
La storia squallida dei piani regolatori della nostra città comincia pochi anni dopo la fine del conflitto mondiale. Il sindaco Capua, nel 1950, affidò all’ing. Andriello l’incarico di progettare la ricostruzione post-bellica di una Sarno sconvolta da sventramenti e bombardamenti. Il tecnico non si dissociò dalle linee tracciate in precedenza dall’ing. Valle nell’anteguerra e ipotizzò la creazione di un “centro di vita” (risultante dallo spostamento a valle della stazione Circumvesuviana), nuovi tracciati viari (via Sodano e via Roma), il limite di 12 metri per l’altezza dei fabbricati e infine un “oculato diradamento inteso a dare maggiore aria e luce alle viuzze e ai cortili”.
Per la nuova Legge Urbanistica, nel 1960 il Commissario prefettizio Trapani Bellotti affidò allo stesso ing. Andriello l’incarico di redigere il Piano Regolatore Generale. Per alcuni rilievi della Corte dei Conti il Piano non fu però approvato, ma la situazione urbanistica del paese cominciò a mutare radicalmente per alcuni vistosi e speculativi interventi di edilizia privata.
Nel 1971 il sindaco DC De Filippo incaricò per il PRG gli architetti Visconti e Falomo. Questi elaborarono un Programma di Fabbricazione quale supporto del Piano di Edilizia Economica e Popolare, indispensabile per l’accesso ai finanziamenti pubblici. Il Programma era però transitorio rispetto al PRG. Occorreva, infatti, redigere il PRG per poter entrare nei piani poliennali regionali per la casa. Nell’attesa di un PRG che mettesse tutti d’accordo Sarno venne però, in pochi anni, irrimediabilmente trasformata dal “pesante intervento dei Rainone” in via Matteotti, dai “casermoni in via M. Orza” dell’ing. Celentano e da vari e sparsi “edifici multipiano”. Nel 1977 i due architetti presentarono il PRG, la cui filosofia era quella di esaltare il ruolo agricolo di Sarno (attraverso la salvaguardia delle campagne), di recuperare il patrimonio edilizio esistente, di realizzare interventi conservativi a Episcopio e nel centro, di tutelare sia il verde pubblico esistente che la destinazione a uso sociale delle antiche filande. Circa la viabilità, il PRG prevedeva una strada tangenziale di collegamento di tutte le direttrici esterne.
L’amministrazione di Sinistra (sindaco Capua) sottopose il PRG alle Commissioni di studio, ai Consigli di quartiere e agli abitanti delle periferie. Ma allorché il PRG giunse in Consiglio comunale, l’opposizione DC sostenne che esso non consentiva al contadino “la possibilità di costruire sul suo fondo la casa” e che contemplava “una netta divisione tra città e campagna”. Il PRG non fu, quindi, approvato (anche per l’uscita dalla maggioranza di alcuni transfughi).
Alle nuove elezioni del 1980 la DC ebbe il 58% dei consensi e iniziò allora il periodo più nefasto per l’edilizia sarnese: solo nel 1980 si contarono, infatti, 700 cantieri abusivi; miliardi di risparmi furono prelevati dalle banche e dagli uffici postali; 3000 vani furono realizzati in brevissimo tempo; tonnellate di cemento vennero riversate nelle campagne fertilissime di Lavorate e di Serrazzeta.
Poiché le provvidenze di legge venivano concesse solo ai Comuni dotati di PRG, il sindaco DC Musco incaricò l’ing. Beguinot della redazione di un nuovo Piano. Questi presentò subito quattro grafici preparatori, a corredo della relazione del PGR, nei quali erano contemplati una strada pedemontana da Terravecchia fino alla Cerola e un anello di circumvallazione di tutto il centro abitato (collegato con l’autostrada e il futuro ospedale), realizzabili con fondi statali.
Tuttavia il terremoto bloccò tutto. Per la ricostruzione post-sisma andava ora utilizzata la legge 219/81. A Beguinot venne chiesto di approntare subito dei Piani di Recupero, per usufruire dei fondi sul risanamento dei centri storici. Egli presentò, quindi, due Piani (uno per Episcopio e uno per Sarno) che furono approvati dalla sola maggioranza in Consiglio comunale. L’opposizione abbandonò, infatti, la seduta dopo aver giudicato insufficiente la perimetrazione del centro storico (che escludeva i quartieri Borgo e Carresi) e aver lamentato uno scarso coinvolgimento dei cittadini. Tuttavia quel Piano di recupero prevedeva interventi interessanti: un insediamento di edilizia economica e popolare a monte di via Cavour; l’arretramento su via Roma della stazione Circumvesuviana (con nuovi spazi pubblici da riprogettare a verde valorizzando gli edifici scolastici); la sostituzione di edifici decrepiti con fabbricati terrazzati; la costruzione di rampe carrabili nel centro storico.
Dopo l’approvazione in Consiglio, pervennero 24 opposizioni che bloccarono i Piani. E il tutto fu lasciato in sospeso, fino al 1988.
Quelli furono gli anni – nota Di Domenico – “in cui si perderanno cospicui finanziamenti, si assisterà all’agonia di diverse realtà industriali e artigianali, allo sfregio del centro cittadino, al continuo attentato al territorio”. I Piani approvati di Beguinot aprirono, inoltre, una faida nella DC con malumori, ambizioni, gelosie, ricatti, congiure. Le elezioni del 1983 acuirono i contrasti. Venne eletto sindaco il DC Atonna, ma un anno dopo alle nuove elezioni la DC perse 4 seggi. Si alternarono, in amministrazione, il sindaco PSI Franco e la DC Corrado. Nel 1987 nacque poi l’Amministrazione PCI – PSI – Sinistra DC, con sindaco D’Ambrosio, il quale riaffidò all’ing. Beguinot l’incarico di redigere i Piani di Recupero aggiornati.
Beguinot, pur modificando il precedente orientamento di spostamento della stazione Circumvesuviana, confermò sostanzialmente le scelte strategiche di fondo (come, ad esempio, la pedemontana), individuando nuove piazze, allineamenti stradali e una strada di collegamento delle masserie di Lavorate.
Ma la Sezione Urbanistica della Regione Campania respinse i Piani. Nel 1991, sindaco il DC Fasolino, la Provincia nominò l’ing. Cammarano “Commissario ad acta”. Questi adottò il PRG elaborato dall’ing. Pappalardo (definito da Di Domenico “mediocre e contraddittorio”), ma l’adozione si arenò per via di ricorsi, deduzioni, controdeduzioni, etc. .
Nel 2000, ai sensi della Legge Merloni, ogni Comune doveva dotarsi di un Piano Urbanistico Comunale. L’urbanista andava scelto mediante concorso per titoli. Sindaco FI Mancusi, venne nominato a Sarno l’architetto milanese Boeri, il quale presentò al Comune una sintesi programmata del proprio Piano.
Le idee-guida di questo erano le seguenti: spostamento a valle della stazione Circumvesuviana, destinazione a verde pubblico del suolo liberato, utilizzazione ambientale e turistica del patrimonio montano, promozione del turismo tramite la risorsa archeologica, incentivazione della imprenditorialità agricola, valorizzazione del centro storico, valorizzazione del polo scolastico (oltre che del centro ospedaliero, delle aree PIP e del parco fluviale), attenzione al recupero ambientale.
Di Domenico nota che il Piano di Boeri metteva in luce, in particolare, “le zone non costruite, i territori come la collina, il Boscone, le aree agricole, la fascia lungo il fiume, la zona di Foce, tutte riconducibili ad una grande fascia verde che circoscrive la città”. Esso prevedeva, inoltre, progetti di trasformazione del territorio “coordinati e integrati fra pubblico e privato attraverso pratiche di concertazione”.
Nel 2008 Boeri presentò al Consiglio comunale il suo Piano. Ma la maggioranza amministrativa non gradì la prospettiva di una “cintura verde”, del blocco totale delle nuove costruzioni, dell’analisi dell’abusivismo, dei discorsi di strategie, comparti, infrastrutture. Il preliminare non fu neanche votato, con rinvio ad altra data. L’architetto Boeri minacciò la rinuncia se non venivano rispettati gli impegni sia di bloccare le concessioni edilizie per almeno sei mesi, sia di provvedere a una mappatura aggiornata dell’abusivismo edilizio.
In una lettera Boeri denunciò poi pubblicamente “l’atteggiamento irresponsabile della Giunta e del Consiglio di fronte alla possibilità di approvare un piano urbanistico in grado di valorizzare e salvaguardare un territorio ferito non solo dalle catastrofi naturali, ma anche dalle inadempienze degli uomini”.
Nel 2013 il sindaco Mancusi querelò Boeri per aver questi affermato (dopo aver ricordato che un PRG di Sarno era stato trovato in casa di un camorrista) che “è più importante pensare alla salute dei propri cittadini che cedere alle pressioni della delinquenza organizzata”. La querela è stata poi ritirata dal sindaco PD Canfora.
Al momento – conclude Di Domenico – un Piano Urbanistico Comunale di Sarno c’è, ma “è solo un gran bel libro dei sogni”, giacché rimanda tutto a Piani attuativi che “ancora non ci sono”.
Credo che di questo libro vadano soprattutto apprezzate la passione civile del suo autore, la visione umana dell’organizzazione territoriale, la profondità dell’analisi e dello studio.
Di Domenico è un esempio morale per tutti. Egli si batte ancora, anche se disilluso, per una comunità a misura d’uomo.
Trovo molto educativa (soprattutto per i più giovani) questa sua lodevole, civile e colta considerazione: “Un intervento progettuale in un punto qualsiasi della città è equiparabile a una sorta di chirurgia edile, che ha o dovrebbe avere un solo scopo: il miglioramento dell’esistente, l’armonia dell’habitat destinato all’uso pubblico e privato, insomma la Bellezza”.
( Eventi, luglio 2019 )
IL COMMENTO di Gaetana Mazza: Caro Enzo, giganti come te e Raffaele Di Domenico a Sarno non se ne trovano più. La tua analisi non si limita all’esposizione ordinata dei temi trattati nel testo, ma rispecchia ed esalta la passione politica e civile tua e di Raffaele, i sogni di una generazione tradita che aspirava a trasmettere il proprio ideale di BELLEZZA. (Facebook, 2019).