PRESENTAZIONE DELL´ ASSOCIAZIONE “EDUCACI”
(Associazione per l´Educazione alla Convivenza Civile e Democratica)
PROLOGO
Valeria PELLECCHIA PRATELLI:
Io presento il presentatore, altrimenti il presentatore chi lo presenta? E´ Lionello Turrini, che tra l´altro e´ socio onorario della nostra associazione: E´ una persona piena di risorse, ha un passato di pubblicitario, pero´ si occupa di cultura: e´ un operatore culturale, si occupa di teatro, produce testi teatrali, e´ regista, e´ stato attore, fondatore anche di concorsi letterari, forse dimenticheró qualcosa.
Comunque: Lionello Turrini, che presenta adesso me.
Lionello TURRINI:
Prima di presentare lei, dovrei dire perché siamo qui. Siamo qui perché dobbiamo fondare questa associazione EDUCACI.
Valeria PELLECCHIA PRATELLI:
E´ gia´ nata, per la verità.
Lionello TURRINI:
Il debutto. EDUCACI, che sta per Educazione. Sto pensando al bambino che dice: “Papa´, dammi i soldi per la mensa scolastica”. “Mensa scolastica? Ma che sei scemo? La´ mangi gratis, fatti furbo! La vita e´ dei furbi”. E questo bambino porta a scuola l´autocertificazione di bambino nullatenente. Allora il bambino capisce che, se non lo educa la scuola, chi lo fa?
Valeria Pellecchia Pratelli e´ la fondatrice di EDUCACI.
Valeria PELLECCHIA PRATELLI:
L´associazione ha cominciato a vivere nello scorso aprile e si e´ costituita ai primi di novembre. E´ formata da persone della scuola e della società civile ed e´ nata con questi tre compiti:
a) promuovere nella scuola la disciplina “Educazione Civile”; b) favorire la convivenza civile e democratica basata sul rispetto tra cittadini e cittadini e tra cittadini e istituzioni, promovendo un´etica pubblica che si basa sui valori laici e sui principi della nostra Costituzione; c) far crescere ed estendere comportamenti socialmente corretti.
EDUCACI e´ formata dalla fusione delle due parole: Educazione-Civile. E´ una parola bisdrucciola, cosa un pó rara in una lingua in cui le parole sono in prevalenza piane.
Sta salendo la domanda di educazione, nella nostra società. Adesso parleranno altri rappresentanti di EDUCACI ed io riprenderó la parola dopo.
Chiara JACONO (attrice):
’INTERVENTO DI PIERO CALAMANDREI SULLA COSTITUZIONE ITALIANA, ALL’UMANITARIA DI MILANO, IL 26 GENNAIO 1955.
” L’art.34 dice: “i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.” E se non hanno mezzi! Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo, che è il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo; non impegnativo per noi che siamo al desinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza con il proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica. Una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della Società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la Società. E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinnanzi!
E’ stato detto giustamente che le Costituzioni sono delle polemiche, che negli articoli delle Costituzioni, c’è sempre, anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica di solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime. Se voi leggete la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai diritti di libertà voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà, che oggi sono elencate, riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute: quindi polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino, contro il passato. Ma c’è una parte della nostra Costituzione che è una polemica contro il presente, contro la Società presente. Perché quando l’articolo 3 vi dice “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce, con questo, che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo, contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare, attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani. Ma non è una Costituzione immobile, che abbia fissato, un punto fermo. E’ una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire, non voglio dire rivoluzionaria, perché rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente; ma è una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa Società, in cui può accadere che, anche quando ci sono le libertà giuridiche e politiche, siano rese inutili, dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità, per molti cittadini, di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della Società. Quindi polemica contro il presente, in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente.
Però vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità; per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, indifferentismo, che è, non qui per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghi strati, in larghe categorie di giovani, un po’ una malattia dei giovani. La politica è una brutta cosa. Che me ne importa della politica. E io quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà di quei due emigranti, due contadini che traversavano l’oceano, su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca, con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. E allora uno di questi contadini, impaurito, domanda a un marinaio “ ma siamo in pericolo?” e questo dice “secondo me, se continua questo mare, tra mezz’ora il bastimento affonda.” Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno, dice: “Beppe, Beppe, Beppe”,….“che c’è!” … “Se continua questo mare, tra mezz’ora, il bastimento affonda” e quello dice ”che me ne importa, non è mica mio!” Questo è l’ indifferentismo alla politica.
E’ così bello e così comodo. La libertà c’è, si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare che interessarsi di politica. E lo so anch’io. Il mondo è così bello. E vero! Ci sono tante belle cose da vedere, da godere oltre che ad occuparsi di politica. E la politica non è una piacevole cosa. Però, la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai. E vi auguro, di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno, che sulla libertà bisogna vigilare,vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.
La Costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va affondo, va affondo per tutti questo bastimento. E’ la Carta della propria libertà. La Carta per ciascuno di noi della propria dignità d’uomo. Io mi ricordo le prime elezioni, dopo la caduta del fascismo, il 6 giugno del 1946; questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto delle libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare, dopo un periodo di orrori, di caos: la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi, andò a votare. Io ricordo, io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui. Queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni. Disciplinata e lieta. Perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare, questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, della nostra patria, della nostra terra; disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese. Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto, questo è uno delle gioie della vita, rendersi conto che ognuno di noi, nel mondo, non è solo! Che siamo in più, che siamo parte di un tutto, tutto nei limiti dell’Italia e nel mondo.
Ora vedete, io ho poco altro da dirvi, in questa Costituzione di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: son tutti sfociati qui negli articoli. E a sapere intendere dietro questi articoli, ci si sentono delle voci lontane.
Quando io leggo: nell’articolo 2 “L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale” o quando leggo nell’articolo 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli”, “la patria italiana in mezzo alle altre patrie” ma questo è Mazzini!Questa è la voce di Mazzini. O quando io leggo nell’articolo 8: “Tutte le confessioni religiose, sono ugualmente libere davanti alla legge” ma questo è Cavour! O quando io leggo nell’articolo 5 ”La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” ma questo è Cattaneo! O quando nell’articolo 52 io leggo, a proposito delle forze armate “L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”, l’esercito di popolo, e questo è Garibaldi! O quando leggo all’art. 27 “Non è ammessa la pena di morte” ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria!!
Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!! Dietro ogni articolo di questa Costituzione o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Quindi quando vi ho detto che questa è una Carta morta: no, non è una Carta morta. Questo è un testamento, un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione. “
DA “LA COSTITUZIONE COMODA” di ALBERTO BERTUZZI.
Le cinque regole per non essere né suddito né qualunquista:
Un mestiere poco conosciuto in Italia è quello del cittadino. Mestiere duro ma esaltante e che, come tutti i mestieri, ha le sue regole.
La prima regola per non essere sudditi servili del cosiddetto “potere”, ma cittadini consapevoli, è quella di conoscere la Costituzione della Repubblica. Leggerla è come leggere un libro che insegna un’arte marziale, perché dà, al lettore attento, una carica di dignità civica e di coraggio incredibili.
La seconda regola è quella di non comportarsi mai servilmente nei confronti di chi abbiamo delegato alla funzione pubblica, per es. non chiamando un deputato “onorevole” o un ministro “eccellenza”, perché questi titoli abbassano chi li usa al livello di suddito; mentre invece, per paradosso, è il cittadino che dovrebbe esigere di essere chiamato onorevole da chi ha accettato di servire il popolo a pagamento.
La terza regola è quella, se l’occasione si verifica, di farsi portatori di democrazia.
Per insegnarla a chi non per meriti di competenza, ma per bizantinismi politici è nominato ministro e nel suo operare si comporta anziché come un servitore del popolo, come uomo al potere.
E per insegnarla a quei concittadini, e sono molti, che non essendosi mai nutriti di democrazia e di civismo leggendo la Costituzione, ritengono di doversi occupare soltanto dei propri affari e problemi, disoccupandosi della cosa pubblica, che poi in definitiva è di noi tutti.
Ma perché mai nelle scuole non si insegna o si insegna male, in modo noioso o incompleto, l’educazione civica? E perché nessun governo ha mai dato importanza a questo fondamentale insegnamento?
Il mestiere del cittadino è un mestiere difficile, anche perché bisogna saper convogliare la propria carica di aggressività, che è una parte insopprimibile dell’uomo, verso comportamenti costruttivi, come, con questo esempio emblematico, narrerò per suggerire la quarta regola sulla difesa dell’ambiente.
C’ è un camino che fuma e inquina l’atmosfera in una località abitata. Un cittadino passa, tossisce, inveisce e prosegue confidando che altri potranno provvedere. Un secondo passa, tossisce, bestemmia e scarica la sua aggressività raccogliendo un sasso e lanciandolo contro il vetro di una finestra dello stabilimento inquinante, con ciò compiendo un’inutile azione distruttiva. Infine un terzo passa e pure lui tossisce, ma si ferma e annota nome ed indirizzo dello stabilimento, e, anche se non abita in quella località e se è pressato dai suoi impegni, si reca al comando della polizia urbana o al municipio o successivamente indirizza al Pretore una segnalazione-denuncia dell’inquinamento osservato. Questo e solo questo è un cittadino.
E per finire, concittadini lettori, ecco la quinta regola: provatevi questa sera, prima di coricarvi, a fare un esame di coscienza. Domandatevi: ”Ed io che cosa ho fatto oggi, non per il mio arricchimento culturale ed economico, ma per la società nella quale sono inserito?”
Lionello TURRINI:
Del cittadino ci parla adesso Alberto Ricci.
GLI INTERVENTI DEI RELATORI
Alberto RICCI:
Avete ascoltato un brano di Alberto Bertuzzi. Venticinque anni fa Bertuzzi era scomodo, era una spina nel fianco di qualsiasi istituzione, era un pungolo continuo. Alcuni lo consideravano un Don Chisciotte. Fu un precursore? Non lo so.
Nella presentazione di EDUCACI voi leggete: “Cittadini si diventa, non si nasce”. Ed è una bella sfida. Cosa vuol dire diventare cittadini? E´ una lotta quotidiana contro tutta una serie di difficoltà.
In questi venticinque anni, secondo voi, rispetto ad Alberto Bertuzzi, la situazione per il cittadino che vuole essere consapevole, che vuole istruirsi, che vuole essere informato, ma che vuole al tempo stesso essere presente nei confronti degli altri cittadini per aiutarli, è migliorata o no?
Io penso che la partita sia ancora in bilico, sia molto aperta. Di giorno in giorno, di mese in mese, ci sono delle situazioni che si contrastano, ci sono degli elementi migliorativi da una parte e degli elementi peggiorativi dall´altra. Io ho dato a tutti voi la traccia del mio intervento e quindi posso limitarmi ad un commento. Ho fatto sei esempi, tre esempi peggiorativi, perché prima si hanno sempre delle cose che possono mettere a disagio. E poi tre esempi positivi, perché cosí ci si risolleva.
Molto semplicemente, se io parlo di aggressività della televisione o della pubblicità parlo di un´aggressività di tipo sia qualitativo sia quantitativo. Faccio solo un esempio. C´è la pubblicità che invita il cittadino ad essere furbo. Avete visto, recentemente, c´è una pubblicità di una marca automobilistica che invita il cittadino a farsi furbo. Non solo, ma addirittura dà ad una sua operazione pubblicitaria un nome direttamente derivante dal termine “furbo”. E questa è una simulazione fortemente negativa dal punto di vista quantitativo.
Ci sono moltissime situazioni fortemente negative che disorientano il cittadino. D’altra parte, il cittadino è sempre piú (perlomeno a me sembra, e quindi sono relativamente ottimista) aiutato, nella sua lotta per diventare sempre piú consapevole, da tutta una serie di organizzazioni, istituzioni, enti, che lo aiutano non solo a conoscere meglio la realtà, quindi a conoscerne gli aspetti anche piú reconditi, ma ad essere sempre piú presente nel farsi carico di azioni che possono contrastare degli atteggiamenti aggressivi appunto non validi in termini piú forti da parte del mondo esterno come quello imprenditoriale, eccetera.
Non parliamo, per esempio, dell´attività dei servizi. Basta pensare, da una parte, alla pressione esercitata dalle società telefoniche; dall´altra basta pensare a una pubblicità che molto spesso è ingannevole, ma che poi viene in qualche modo mascherata e contraffatta.
Per quanto riguarda l´ambiente, direi che c´è poco da sottolineare. Già Bertuzzi faceva un esempio esplicitamente riferito a un problema ecologico-ambientale. Oggi siamo immersi in una serie di grandi questioni, ma devo dire anche di tentativi di capirci qualcosa attraverso la contrapposizione di opinioni fortemente contrastanti. Per quanto riguarda ció che giunge da lontano, dalle notizie che possono disorientare, quanto meno noi siamo sempre piú aiutati a capire che determinati principi, determinati valori (che noi abbiamo introitato nel confronto con altre popolazioni) non devono essere messi da parte, ma devono comunque essere considerati a un rango equivalente.
Questi pochi esempi possono costituire una traccia per una domanda di approfondimento che puó accompagnare il cittadino ogni giorno. E poi ci rivedremo.
Lionello TURRINI:
Adesso sentiamo il prof. Cutolo, che ci parlerà degli Italiani.
Vincenzo CUTOLO:
Vorrei, prima di tutto, ringraziare tutti voi per la vostra presenza. Soprattutto vorrei ringraziare i soci onorari, che ci hanno onorato (scusate il bisticcio di parole) con la loro adesione all´ “Associazione per l´Educazione alla Convivenza Civile e Democratica”.
Sono presenti i soci onorari Roberto Piumini (uno scrittore che fa onore alla nostra letteratura), Rinaldo Gianola (che e´ vicedirettore del quotidiano “L´Unita´”), Lionello Turrini (intellettuale e operatore culturale che tutti voi conoscete).
Non e´ presente un altro socio onorario della nostra associazione: lo scrittore, grande linguista italiano (e non solo italiano), Raffaele Simone. Il Prof. Simone insegna all´Universita´ di Roma Tre. Oggi egli e´ qui presente con lo spirito ed io mi faccio portavoce dei suoi saluti. Egli ha aderito alla nostra associazione perche´ ne condivide lo spirito costruttivo, che va verso il civismo.
Simone ha scritto un libro pubblicato circa un mese fa da Garzanti, “Il paese del pressappoco”, in cui per la verita´ non esprime grande fiducia nel futuro. E´ un libro molto duro, molto amaro, che vi invito a leggere. Anzi ve ne do una sorta di assaggio, con la pagina che ora vi leggero´.
“ Negli anni Cinquanta Edward C. Banfield riteneva che per vincere il “familismo amorale” degli italiani fosse opportuno avviare l’intervento pedagogico di insegnanti e dirigenti locali, che avrebbe potuto maturare nelle fasce basse della popolazione la propensione ad attività cooperative e di collaborazione. Oggi vediamo bene che Banfield si sbagliava. La plebe globalizzata e consumista è ancor piú restia di quella di mezzo secolo fa a farsi educare o rieducare. La plebe d’un tempo poteva pur sempre essere portata a scuola, per quella d’oggi non c’è scuola che tenga, dato che il mondo esterno (invaso dalla comunicazione e dai consumi) la attrae e la educa infinitamente di piú.
La plebe puó, a un certo punto, cambiare status, ad esempio guadagnando di piú o passando a un lavoro migliore. Ma se, in questo passaggio, non attraversa un’esperienza di fusione e di identificazione con un valore generale collettivo, pur cambiando status non cambierà pensiero: rimarrà plebe, anche se con un livello di vita migliorato.
Tale, e non altra, è appunto la condizione di una gran parte degli italiani. Passati rapidamente dalla povertà (quale si osservava nel dopoguerra, e ancora alla fine degli anni Settanta) a una certa moderata agiatezza, non hanno avuto la possibilità né il gusto di bagnarsi in alcun valore civico e sono rimasti mentalmente e moralmente plebei. L’opera è stata completata dalla televisione-spazzatura, dallo sport-spettacolo, dalla comunicazione dilagante, dal turismo forzoso e dal consumismo di massa, che si sono abbattuti sul paese come una spaventosa sequela di impalpabili tsunami. Data la sua inveterata gracilità culturale e civile, l’Italia non era in grado di difendersi e si è lasciata travolgere su due piedi senza che fosse possibile opporre alcuna resistenza.
Osservando alla luce di queste considerazioni la nostra storia recente, si puó dire che, se il fascismo aveva parzialmente iniziato le plebi contadine e la piccolissima borghesia ai sistemi politici di massa, procurandone cosí una sorta di “modernizzazione autoritaria”, il berlusconismo ha completato il processo portandole a una piena modernizzazione consumistica e mediatica. Né l’uno né l’altro processo sono peró riusciti a trasformare quella plebe in popolo: come avrebbero potuto? (…)
Molti indicatori culturali e civili sono migliorati: ma il popolo d’Italia è ancora indietro rispetto agli sforzi che la scuola, gli insegnanti, il ceto istruito hanno fatto per decenni per incrementarne la vitalità culturale. A frenare questo sviluppo, a impedire che la “densità della cultura” si accrescesse, non è stata solo una scuola non all’altezza dei suoi compiti, ma piú ancora la resistenza sornionamente esercitata dal pensiero plebeo annidato nelle menti.
La proterva tenacia di un’anima plebea spiega anche perché mai gli italiani non amino il loro paese e non riescano a riconoscersi in nulla che risponda alle condizioni additate da Gramsci: “un’azione o un moto di carattere collettivo (in profondità e in estensione) e unitario”. La plebe non ha patria perché non ama nulla. “
Allora, vedete quale durezza è nel libro. Raffaele Simone è un uomo mite, che io ho conosciuto a Zurigo in occasione di una sua conferenza sulla lingua italiana d´oggi. Quando siamo stati insieme, ho visto in lui una persona di grande mitezza. Questa caratteristica della sua personalità l´ho ritrovata poi nel libro, dove egli richiama un pensiero di Norberto Bobbio a proposito della mitezza e della pazienza.
Bobbio dice che ci vuole prima pazienza, per la convivenza civile, e poi ci vuole mitezza. Il concetto di pazienza significa rispettare l´altro, fare in modo che l´altro che interloquisce con noi sia sé stesso, non invadere la personalità dell´altro che è in interlocuzione e in rapporto con noi.
E poi la mitezza, che è una caratteristica – dice Bobbio – che dovrebbe passare per tutti i cittadini degni di questo nome. Si avrebbe, in tal modo, una sorta di rapporto tra i concittadini e i connazionali (tra gli uomini del mondo, in senso lato) certamente piú equilibrato, piú civile.
Nella pagina che ho letto c´è un riferimento a Banfield, un sociologo americano che scese nella provincia di Potenza, in Basilicata, in un paesino a pochissimi chilometri da Pietrapertosa, per studiare i comportamenti di quella comunità contadina. E´ la terra di cui Carlo Levi aveva parlato come di quella in cui “Cristo” non era arrivato.
Cosa venne fuori dalla ricerca di Banfield? Siamo negli anni Cinquanta, circa mezzo secolo fa. Banfield disse che in quella comunità non c´era la fiducia. Uno dei proverbi di quella comunità per esempio, un proverbio che troviamo anche in Calabria, è: “Se la casa del tuo vicino brucia, porta l´acqua alla casa tua!”. Vedete, e´ terribile. Io sono meridionale. Probabilmente anche nella mia provincia di origine, quella di Salerno, c´è questa mentalità (che sarà, forse, stata modificata negli anni), ma è terribile questo elemento. Non c´è la fiducia. Ed è la situazione che aveva studiato David Hume nel Settecento.
Il filosofo scozzese Hume, per valutare la razionalità degli esseri umani, fece questo ragionamento. Ci sono due contadini. Uno ha un campo, in cui il grano deve essere raccolto il giorno seguente; il vicino ha, invece, il grano che va raccolto quel giorno stesso. Ci vogliono due persone per raccogliere il grano dai due campi. E la logica vorrebbe che i due si mettessero insieme: oggi io lavoro per te, domani tu lavori per me, cosí tutto il grano che ha prodotto la nostra terra lo vendiamo, con un reciproco guadagno che andrà ad arricchire la comunità familiare e quella sociale in cui noi viviamo.
Invece il primo contadino dice: “Se io lo aiuto, quello non mi riconoscerà l´aiuto datogli. Non avró nessun tipo di feed-back”. Altrettanto pensa l´altro. Alla fine, la metà del raccolto va in malora, perché non c´è la forza-lavoro necessaria.
Hume faceva questo ragionamento per dire che, se gli uomini non hanno fiducia reciproca, non ci puó essere la comunità.
Quello che Banfield ricordava per la comunità del profondo Sud italiano (da lui studiata) Hume lo aveva gia´ detto due secoli prima. Ed e´ quello che oggi forse ancora sopravvive, come mentalità, nella complessità che si è poi aperta nella società italiana e anche globale in cui ci troviamo a vivere.
Quando Banfield parla di “familismo amorale”, vuol dire che nel Sud c´era un tipo di percorso che è stato poi studiato con maggiore profondità da un altro ricercatore americano, il sociologo Robert Putnam (in un bellissimo libro uscito nel 1990 per i tipi di Mondadori: “Il senso civico delle regioni italiane”).
Ecco, Putnam ha fatto questo ragionamento, che è di tipo storico. Nelle condizioni contadine (la condizione del Sud era prevalentemente contadina) c´è questo tipo di meccanismo: l´uomo si chiude a riccio nella sua comunità familiare e, non avendo solidarietà per le altre comunità familiari (ripensiamo al proverbio del fuoco e dell´acqua, richiamato prima), non puó ovviamente arrivare a una società in cui ci sia civismo. Ci sarà egoismo, ci sarà chiusura, ci sarà paura dell´altro, paura del mondo, paura di tutto, e si proteggerà il nucleo interno che poi svilupperà tutto.
Chi ha studiato la mafia (per esempio Pino Arlacchi) ha fatto questo tipo di riferimento: è dal familismo amorale che si è sviluppata la cancrena della piovra, che se voi la analizzate per quello che è possibile (dopo le ombre delle omertà e degli omissis, anche istituzionali), trovate naturalmente che la mafia si allarga sempre con i familiari. E´ una famiglia, che si allarga con il proprio nucleo, cioè con le proprie risorse interne.
Per far capire come gli Italiani siano oggi diversi, Putnam ha studiato questo fenomeno storicamente, leggendo il Nord e leggendo il Sud.
(L´analisi di Putnam non è di oggi, ripeto: è di quindici anni fa. Per esempio una città come Bologna, che egli riconosce come la capitale del civismo italiano, ha i problemi che Cofferati oggi si trova ad affrontare quotidianamente. L´invasione degli stranieri ha modificato tutto. Bisogna rivedere i parametri anche di studio, di sociologia, di antropologia, di intervento politico-culturale. Bisogna rivedere tutto perché c´è una massa di nuovi Italiani che stanno arrivando sempre di piú e dobbiamo fronteggiare questa novità, cosi´ problematica, legandola alla complessità di cui siamo eredi).
Che cosa dice Putnam, nel suo libro? Dice sostanzialmente che tutto parte dal XII secolo. La caduta dell´impero romano aveva prodotto una serie di situazioni differenti, nelle varie zone d´Italia. Si erano determinati schematicamente un Nord, in cui erano sorti i Comuni, e un Sud, in cui Federico II (che qualche storico chiamó “stupor mundi”) aveva creato il feudalesimo. Per cui c´era un diverso rapporto: e interpersonale, all´interno della società italiana di allora; e di riferimento alle istituzioni.
Pertanto al Sud avevamo una gerarchia feudale a capo della quale c´era l´imperatore.
Chi non riconosceva l´autorità dell´imperatore era destinato ovviamente a finire. C´e´ una bellissima novella di quegli anni, nella raccolta del “Novellino”, intitolata “Il falcone dell´imperatore”. In essa si racconta che un giorno Federico II va a caccia. Ha con sé il suo falcone, cui vuole bene come ad un figlio. Questo falcone ha l´incarico di stanare, di andare a far scendere giú l´uccello che fa gola al cacciatore. A un certo punto il falcone spicca il volo e aggredisce un´aquila, in alto, costringendola a scendere giú. Quando il falcone ritorna sulla spalla dell´imperatore, questi lo fa mettere subito a morte, davanti a tutti. Lo fa decapitare, volendo lanciare il segnale che chi si permette di mettere in discussione o di attaccare l´autorità merita il patibolo. E´ un segnale molto preciso, sul piano anche letterario (Federico II, come è noto, fu il primo letterato italiano, fondatore della Scuola poetica siciliana cui appartennero Pier delle Vigne, Jacopo da Lentini e altri).
Allora se questo è, nella società meridionale (dove abbiamo un´autorità verticale, con la scalettazione gerarchica di tipo feudale: vassalli, valvassori, valvassini), il servo della gleba non puó fare altro che rivolgersi a chi sta subito sopra di lui nella gerarchia.
Questo meccanismo è rimasto. Quando ero ragazzo, nella mia terra c´era “Pascalone ´e Nola”, un famoso camorrista degli anni Cinquanta. Quando c´era da dirimere una questione (due coniugi che litigavano, la ragazza che era stata messa incinta dal giovanotto che poi non la voleva sposare, un problema di proprietà, di divisione di confini, di eredità) non si andava dal giudice di pace di oggi o dal pretore di allora. Si andava dal camorrista, il quale come un vecchio saggio (se volete, come il grande giudice di un bel testo teatrale di Brecht, “Il cerchio di gesso del Caucaso”) dava il suo giudizio e componeva naturalmente i conflitti.
Questo è avvenuto nel Sud. E questo avviene anche oggi perché, se il meccanismo lo andiamo a leggere anche nella proiezione politica della rappresentanza, il Sud è pieno di clientelismo. C´è – come è noto – il cosiddetto voto di scambio, ben analizzato e formalizzato dalle indagini politiche e sociologiche.
A Nord, invece, che cosa e´ successo? Dice Putnam che la formazione dei Comuni ha creato nel settentrione d´Italia un cittadino che si è dovuto confrontare dialetticamente, sui problemi della comunità, con gli altri concittadini. E si è arrivati naturalmente a una situazione orizzontale – non verticale – della società, in cui tutti avevano (almeno apparentemente) pari dignità. E c´era l´ostracismo, cioè la cacciata dalla comunità come nell´antica Grecia dell´agorà, per chi non si allineava alle regole collettive di senso civico.
Ecco, Putnam dice che il senso civico è nato nell´Italia settentrionale grazie ai Comuni e che, attraverso i secoli, nonostante le guerre, le epidemie, le pestilenze (e anche i passaggi da Nord a Sud: ci furono epoche in cui anche i settentrionali a causa delle pestilenze scesero verso il Sud, che non era stato attaccato, per poter sopravvivere e dare continuità alla loro specie), nonostante questo iter di situazioni squilibrate il meccanismo della società verticale è rimasto.
Non a caso, dice Putnam, regioni come l´Emilia, la Lombardia, il Veneto, il Friuli, funzionano bene sul piano della gestione (le Regioni furono istituite nel 1970; Putnam le studia per venti anni, analizzandone il senso civico sia al Nord che al Sud in sei di esse). Lo studioso riferisce di essere andato in un ufficio della Regione Puglia e di avervi trovato solo una giacca appesa. Qualcuno gli spiegava che l´impiegato era fuori stanza, ma egli capiva che la giacca era un “simbolo di presenza”, in quanto l´impiegato era altrove. Invece in Emilia-Romagna egli e´ andato a Bologna, nella sede della Regione, e ha trovato che gli impiegati c´erano ed erano efficienti.
Sono piccole esemplificazioni che fanno male e, da meridionale, dico questo con amarezza.
Allora, se questo è il dato che Putnam ha analizzato, è chiaro che Raffaele Simone ha ragione: noi dobbiamo fare come nella psicanalisi. Per correggere i nostri errori di Italiani, dobbiamo calarci un poco dentro noi stessi, capire da dove veniamo, chi siamo, cosa vogliamo essere. Questo e´ il problema.
Per esempio, oggi la scuola che cosa vuole essere?
Recuperare la educazione alla convivenza civile oggi è fondamentale, perché la società è complessa. Inoltre c´è il revisionismo sulla Resistenza, c´è l´attacco alla Costituzione repubblicana (a proposito della quale Chiara Jacono ha letto prima una bella pagina di Piero Calamandrei). Anche l´attacco alla Costituzione e alla Resistenza, con tutta la revisione se volete della storia, ci fa capire che neppure la Resistenza e´ stata un momento di unificazione nazionale, un valore comune.
E´ vero che essa fu un momento particolare, di una particolare parte d´ Italia, che non coinvolse tutta l´Italia, fu una guerra civile forse, lo dicono anche gli ultimi libri degli ultimi scrittori (Gianpaolo Pansa, ad esempio, ne parla). Comunque, noi eravamo abituati – anche attraverso la Costituzione – a pensare che quello fosse un grande momento di unità nazionale, da cui era nata la Repubblica (che tra l´altro aveva mandato nel dimenticatoio della storia sia la monarchia che il fascismo). Avevamo pensato e continuiamo a pensare che quello fosse un grande momento di rilancio dell´ unita´ nazionale.
Io vi porto un esempio del mio paese, che si chiama Sarno ed è in provincia di Salerno. Ci fu il terremoto, nel 1980. Ci furono i morti, nella mia città come in tutta l´Irpinia. Arrivarono tutti i politici. Mi ricordo che il Presidente della Repubblica Pertini rimosse il prefetto di Avellino, il quale non aveva saputo intervenire in tempo per l’emergenza. Un avellinese disse a Pertini che era arrivato prima suo fratello dalla Germania e poi erano arrivati gli aiuti dello Stato. Pertini subito siluró il prefetto di Avellino. Questa è una cosa che vi ricordate.
In quel momento ci furono fiumi di miliardi inviati dallo Stato, cui si aggiunsero i fiumi di miliardi che arrivarono da tutti i connazionali, compresi quelli che vivevano all´estero. Cgil, Cisl e Uil raccolsero fiumi di soldi di solidarietà. Arrivarono tanti bei segni. Quello fu un grande momento di solidarietà nazionale. Forse una sventura tragica come il terremoto poté darci, in quel momento storico, una opportunità che neppure il Risorgimento e la Resistenza avevano potuto darci.
Invece dopo pochi anni, nel 1998, la mia città fu di nuovo colpita: da un´alluvione che taglió molte vite (tra cui quelle di parenti e amici).
Bene. Dopo l´alluvione arrivarono nella mia città solo il Presidente del Consiglio D´Alema e i parlamentari Mancino e Maccanico (che erano originari di Avellino). Non arrivó piú nessuno. I sindacati non riuscirono a raccogliere neppure un soldo. Il mio console di Zurigo Gianluigi Lajolo, un torinese che era una persona perbene, favorí la promozione di una raccolta di fondi per la mia città. Io lo ringraziai. Era stato fatto girare un foglio su cui ognuno apponeva la propria firma accanto alla cifra donata. Ci furono due persone che scrissero: “Io non do i miei soldi alla camorra”.
Io chiaramente capii che quello era un momento in cui l´unità nazionale non c´era piú (ammesso che ci fosse mai stata). La giornalista Lucia Annunziata, che è originaria di Sarno anche lei, ha scritto un libro su quella alluvione intitolato “La crepa” (la crepa in senso metaforico, non solo quella della montagna che uccide). La crepa era la spaccatura nel Paese, che apri´ di nuovo una separazione che non si è piú ricomposta.
Allora, in un´Italia che è fatta di furbi (il concetto di “furbi e furbastri” l´ha spiegato bene Sylos Labini, in un suo bel libro); in un´Italia in cui le leggi non sono rispettate, in cui il cittadino vede nella legge ció che Gaetano Salvemini aveva chiarito tanti anni fa, e cioè che l´Italiano considera la legge una imposizione del “nemico” (come se lo Stato fosse un nemico); in un´ Italia in cui si riduce solo per un momento (grazie a una legge sulla velocità, sul limite di velocità, e sull´obbligo del casco) il numero dei morti, che poi improvvisamente risale perché nella comunità nazionale prevale il furbo, ebbene voi vedete che in quest´Italia non c´è rispetto per il bene comune. Oggi i ragazzi, quando arrivano nelle città, sono come degli hooligan che hanno la potestà e il diritto di aggredire tutto quello che trovano.
Non c´è nel nostro Paese, evidentemente, una società che possiamo ritenere civile.
Bisogna allora che ognuno divenga un Italiano al contrario, un antitaliano.
Raffaele Simone ricorda che grandi antitaliani sono stati Dante, Machiavelli, Leopardi, Pasolini. Chi sono gli antitaliani? Sono quelli che predicano l’imparzialità della giustizia, il civismo, la solidarietà, il rispetto del bene pubblico, la separazione tra pubblico e privato. Persone che prendono posizione, che si battono per il cambiamento. L’esatto contrario di quegli Italiani che invece si chiudono nella torre d’avorio, molto presenti anche nella nostra letteratura nazionale: personaggi inetti, sfiduciati, personaggi malati quasi di oblomovismo (dai Malavoglia a Renzo e Lucia, al protagonista de “La coscienza di Zeno”, ai protagonisti dei romanzi di Gadda, al Palomar di Calvino). Esempi che troviamo anche nel cinema, intellettuali che arrivano un momento dopo che la storia si è fatta.
Allora io dico che gli intellettuali principali di oggi, che sono i professori delle scuole (delle scuole pubbliche soprattutto), devono farsi carico di questo grande problema. E l´associazione fondata dalla professoressa Pellecchia (che non ringrazieremo mai abbastanza per questa sua intuizione e per questo suo prodigarsi per aggregare, e lo sta facendo molto bene, concittadini intorno a questa bella iniziativa) deve arrivare a mobilitare le energie della scuola, perché si ridia alla pedagogia il senso giusto che essa deve avere. Bisogna portare ai ragazzi, in maniera diversa (strutturando anche dei programmi), dei contenuti che li facciano diventare cittadini di una società solidale, degna.
E´ una costruzione tutta in salita, che ci vede naturalmente in grande difficoltà. Ma io ho l´ottimismo della volontà e vi leggo una poesia di un grande poeta turco, Nazim Hikmet (grande amico di Pablo Neruda e Vladimir Majakovskji), un poeta che mi è particolarmente caro perché ha sempre dato un contributo di grande costruzione civile alle giovani generazioni. La poesia si intitola “Nel sangue e nel sudore”.
I muratori cantano,
cantando sembra più facile.
Ma tirar su un edificio
non è cantare una canzone,
è una faccenda
molto più seria.
Il cuore dei muratori
è come una piazza in festa;
c’è un vocio,
canzoni
e risa.
Ma un cantiere non è una piazza in festa:
c’è polvere e terra,
fango e neve.
Spesso le mani sanguinano,
il pane non sempre è fresco,
al posto del tè c’è acqua,
qualche volta manca lo zucchero,
non tutti qui sono eroi,
e gli amici non sempre
sono fedeli.
Tirar su un edificio
non è cantare una canzone.
Ma i muratori
sono gente cocciuta.
E l’edificio vien su,
vien su,
sempre più in alto
e più in alto
si arrampica.
Alle finestre del primo piano
stanno già vasi di fiori,
e sopra il tetto del garage
gli uccelli sulle ali già portano il sole.
In ogni trave c’è un battito di cuore,
in ogni pietra.
E l’edificio vien su,
magnifico,
cresce
nel sangue e nel sudore.
Lionello TURRINI:
Valeria Pellecchia Pratelli ci parlerà adesso dell’Educazione civile.
Valeria PELLECCHIA PRATELLI:
Si avverte nella società una domanda generale di educazione. Un giorno capita infatti di leggere sul giornale che gli studenti di un liceo chiedono ai loro professori 10 ore di “formazione civile.” E un altro giorno di leggere che studenti medi e universitari hanno manifestato per un’altra scuola e per un’altra Italia, dietro lo slogan dire- fare- sognare. E ti rendi conto che i giovani, quei giovani che abbiamo così a lungo e in modo così miope trascurato, stanno aspettando, forse di essere chiamati a qualche compito, magari anche grande. C’è chi afferma che “se la scuola non si impegna ad educare, non riesce neanche ad insegnare”. L’educazione dei giovani, delle future generazioni è un compito importante, che nel nostro Paese è diventata una urgente necessità. Di fronte a questo compito la scuola si è mostrata finora inadeguata. Una ricerca promossa dall’Istituto Cattaneo di Bologna, basata su 600 interviste condotte in tutta Italia, ha messo in luce il deficit di risorse civili nei giovani studenti, alla vigilia della maturità, la generazione nella quale il Paese ha investito di più, e dalla quale si aspetterebbe cittadini esemplari e la futura classe dirigente. I risultati invece conducono a un bilancio negativo per i due ordini di moralità che concorrono a costituire il capitale sociale di un paese:
- la moralità dei cittadini in quanto tali,
- quella più spicciola degli atteggiamenti e comportamenti abitudinari della vita quotidiana.
Per quanto riguarda la prima c’è un deficit in termini di identità, di orgoglio nazionale e di identificazione nelle Istituzioni, verso cui i giovani non nutrono fiducia, perché esse tradirebbero i cittadini nella rappresentanza e nell’esercizio democratico del potere. Le basi dell’orgoglio nazionale sono prive di riferimenti valoriali sostanziali e presentano aspetti di ambivalenza. Traspare l’orgoglio per i campioni sportivi, ma esso manca del tutto per le Istituzioni del paese e per i personaggi che sono stati i grandi protagonisti della scena politica nazionale degli ultimi decenni. Per quanto riguarda il costume nella vita quotidiana, esso è orientato alla diffidenza verso gli altri, alla tolleranza per l’illegalità, alla slealtà, e al prevalere del calcolo dell’interesse personale su quello collettivo. L’Educazione Civica, che di recente la riforma Moratti ha cancellato (anche dalla stessa classe di concorso di lettere, che una volta era definita “Italiano, Storia, Ed. Civ. e Geografia e che oggi è diventata solo ”Italiano, Storia e Geografia”, per cui non è richiesta alcuna competenza specifica per chi voglia insegnare questa disciplina) non ha avuto in passato sviluppo ed efficacia per i suoi limiti intrinseci, (era abbinata all’insegnamento della storia e ha finito per avere ruolo subalterno, venendo spesso ad essa sacrificata). La materia era finalizzata alla formazione del cittadino con l’obiettivo di far maturare la capacità critica, la responsabilità personale, la partecipazione, la solidarietà. Ma essa non è stata in grado di promuovere una crescita civile significativa. L’Educazione alla Convivenza Civile della recente riforma Moratti è un fantasma che si aggira nelle scuole, peraltro senza pace, perché non trova dove materializzarsi. Non ha un proprio spazio specifico e, come abbiamo visto, non ha neppure una preparazione specifica di chicchessia. E’ una materia spalmata su tutte le altre. Appartiene a tutti e non è azzardato prevedere che non sarà di nessuno, nonostante il lungo ed ambizioso elenco di obiettivi, che essa dovrebbe perseguire e relativi alle 6 educazioni previste che sono: educazione alla cittadinanza, educazione stradale, ambientale, alimentare, alla salute e alla (?) affettività. L’elenco di queste educazioni ci mostra come l’attenzione non sia più centrata sulla formazione del cittadino, come soggetto attivo nell’ambito della vita collettiva (politica, economica e sociale), ma sugli aspetti della sfera individuale ed interpersonale. E’ materia di tutti , abbiamo detto, ma è ragionevole pensare che gli insegnanti, che si sono visti ridurre con la riforma le ore di insegnamento, non intendano sottrarre altro tempo alla propria disciplina, occupandosi, per es., di uno dei ben 39 obiettivi dell’Educ. alla Cittadinanza che stabilisce (cito dai piani di studio di terza media) di: trasformare in competenze personali l’individuazione, l’analisi, la visualizzazione e l’esposizione dei collegamenti esistenti tra globalizzazione, flussi migratori e problemi identitari. Tema di poco conto e che non si può certo sbrigare in qualche decina di minuti!
Oppure di occuparsi di uno degli obiettivi dell’ Educazione Stradale , come quello (cito) di: trasformare in competenze personali l’analisi delle problematiche ambientali relative alla circolazione stradale, con individuazione dei problemi e delle ipotesi di soluzione. E qui bisognerà avvertire qualche assessore: d’ora in poi per lui sarà tutto molto più facile. E questi obiettivi rappresentano, si badi bene, (cito): il livello essenziale (= minimo) di prestazione per garantire il diritto alla formazione di qualità. E’ chiaro che non potendo entrare questa disciplina, o entrando con difficoltà, all’interno delle altre, la strada che si va delineando è quella, più praticabile, delle unità di apprendimento interdisciplinari e trasversali.
Durante un convegno di qualche giorno fa sulla Educ. alla Convivenza Civile è stato illustrato da un dirigente scolastico un es. di Uda ( = unità di apprendimento) di educ. ambientale intitolata Energia in gioco: durata un mese e mezzo, destinatari gli alunni di terza media. Questa Uda, dalla complessa elaborazione, conteneva l’individuazione degli obiettivi del Pecup (Profilo educativo culturale e professionale ), dell’Ogfp (Obiettivi generali formativi personalizzati ) e dell’Osa ( Obiettivi specifici dell’ apprendimento). Da quel ginepraio di obiettivi si stentava a capire l’obiettivo finale, che era quello di motivare i ragazzi al risparmio energetico. Dal “compito” degli allievi doveva poi risultare un “prodotto”(cito) finale visibile e “spendibile”(cito), cioè un cartellone pubblicitario. Il preside ha ammesso che ancora un po’ di insegnanti fanno fatica a seguirlo.
Al posto della parola prodotto io avrei usato la parola realizzazione e al posto di spendibile la parola utile, così come non avrei mai usato il termine qualità ma quello di eccellenza. Prodotto, spendibile, qualità sono vocaboli che fanno parte del linguaggio commerciale, linguaggio del tutto improprio se riferito al mondo della scuola, dove niente si vende, si compra o ha un prezzo. A proposito poi di uso di sigle, come Uda Pecup Ogfp Osa, vorrei accennare a una interessante analisi fatta dal nostro qui presente Alberto Ricci sui Muri di linguaggio, cioè quei muri che le diverse categorie alzano tra di loro e che rendono difficili la comprensione e i rapporti reciproci. A proposito di questo, Alberto Ricci dice che “la quintessenza del muro è rappresentato dalle abbreviazioni, vero e proprio ginepraio di sigle, acronimi ecc., che ogni ambito tecnico-scientifico tende a difendere gelosamente.” Quanto alle uda, poi, trova che siano un aspetto devastante del nuovo modo di fare scuola e le definisce progetti monadistici, dotati di vita effimera e incapaci di offrire uno spazio a successivi approfondimenti o richiami.
Ma a questo punto mi chiedo:
Quante uda si potranno svolgere in un anno scolastico?
Con quali criteri si sceglierà una educazione piuttosto che un’altra, e di questa educazione un obiettivo piuttosto che un altro? Come dall’urna si estraggono i numeri della lotteria, così dai piani di studio nazionali si potranno scegliere le educazioni e gli obiettivi che, in quel momento, più aggradano.
E’ in questo modo, così episodico e discontinuo, che si può educare il cittadino di domani?
Noi pensiamo di no. Ed è dall’urgenza di contribuire a superare la crisi morale ed etica che attraversa la nostra società, ed è dalla sfiducia verso questo tipo di scuola, incapace di proporre una pedagogia dell’etica pubblica alle nuove generazioni e di farsi carico delle grandi sfide che ci attendono ( prima fra tutte quella di una società sempre più multietnica), che nasce la nostra associazione EducaCi e la nostra proposta di Educazione Civile.
AUTONOMA oltre che TRASVERSALE e INTERDISCIPLINARE
La nostra proposta di Educazione Civile presenta molti aspetti originali e del tutto nuovi. Noi ce la prefiguriamo così. Avrà prima di tutto finalmente la dignità di disciplina autonoma, pur continuando ad essere trasversale ed interdisciplinare. Quella che è chiamata la regina delle educazioni non dovrà più andare a prestito di docenti, ore e libri da altre discipline. Avrà un suo insegnante, munito di una sua preparazione specifica, fatta delle competenze relative a tutte le educazioni che la costituiscono e uno spazio orario di 2 ore consecutive settimanali. Sarà una materia che forse avrà una attrattiva superiore a quella di tutte le altre: perché più di tutte si nutre della vita, perché ci fa conoscere e fonda le ragioni del nostro stare insieme, perché è un bisogno da troppo tempo inascoltato. L’educazione civile continuerà ad aver posto all’interno di tutto il curricolo, sia per quanto riguarda i singoli progetti, sia nel modo di fare scuola e nell’insegnamento generale. Le più recenti teorie pedagogiche vanno riscoprendo l’importanza degli elementi imitativi nell’educazione. Estremamente importante sarà l’imitazione prima di tutto dell’insegnante. Il suo comportamento dovrà essere pertanto in ogni atto (puntualità, trasparenza, rispetto delle persone e delle regole ecc..) un modello di rispetto e di correttezza di convivenza civile. Stessa cosa naturalmente vale per l’Istituzione Scuola nel suo insieme.
PER L’INTERO PERCORSO FORMATIVO
Secondo elemento nuovo: è una materia che accompagnerà gli studenti per l’intero percorso formativo. Poiché cittadini non si nasce ma si diventa, siamo convinti che occorra un lungo percorso che, partendo dalla infanzia, prosegua fino al termine degli studi superiori, allo scopo di costruire quella figura del buon cittadino (o semplicemente cittadino con la C maiuscola) che noi così descriviamo: E’ dotato di pensiero aperto, libero e autonomo. Conosce la Costituzione e i suoi principi ispiratori, l’organizzazione democratica dello Stato e la funzione delle varie Istituzioni. Comprende i meccanismi sempre più complessi che regolano la società. Nutre valori per i quali l’interesse collettivo merita attenzione quanto quello personale e privato, talvolta di più. Coltiva le virtù civiche: l’appartenenza, la solidarietà, l’impegno, il senso di responsabilità. Ha fiducia negli altri, li rispetta e rispetta la loro libertà, come rispetta i beni pubblici, che appartengono a tutti.
Ci pare che il nostro percorso garantisca, rispetto le precedenti proposte, quella gradualità e quella continuità degli interventi, che sono indispensabili per il raggiungimento di una finalità così alta e ambiziosa.
Basata sui VALORI e i PRINCIPI della COSTITUZIONE
Nel mondo dei giovani, e non solo, oggi si riscontra una generale e preoccupante assenza di valori, di punti sicuri di riferimento. Occorre un grande e rinnovato impegno educativo della Scuola.
Formare i giovani significa non solo e non tanto istruirli e trasmettere loro cultura, bensì orientare le loro condotte, aiutarli nel difficile cammino della formazione di una coscienza morale.
Scopo della nostra disciplina è quello di promuovere una rigenerazione morale attraverso l’approfondimento, non solo del rapporto tra il cittadino e la legge che regola la società, ma del rapporto tra il cittadino e la legge morale che è interna all’uomo, promovendo l’espressione del sé al massimo della sua umanità.
Afferma Edgar Morin, una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea: “Ogni individuo singolo porta in sé l’intera forma della condizione umana, allora ciascuno deve essere incoraggiato a cercare in se stesso verità di valore universalmente umano”. E prosegue“L’uomo contiene in sé il tutto dell’umanità senza cessare di essere l’unità elementare dell’umanità”.
Noi i valori umani fondanti dell’etica pubblica che proponiamo, li riconosciamo presenti nella nostra Costituzione, e sono il rispetto per la dignità della persona, la libertà, la giustizia, la democrazia, l’uguaglianza, la solidarietà.
Le Educazioni
Da questi valori discendono le nostre Educazioni: maggiori e minori .
Le educazioni maggiori che noi proponiamo sono:
l’educ. costituzionale, alla cittadinanza democratica e pluralista, alla legalità, alla non violenza e alla pace, alla identità storico-artistica, ambientale ed ecologica, televisiva e multimediale.
Ad esse si aggiungono le educazioni minori:
l’educ. stradale, alla salute, alla alimentazione, della affettività ecc.
Accennerò a ciascuna delle maggiori brevemente, sottolineando che ognuna di esse nasce da un bisogno sociale di educazione:
-l’ educ. costituzionale avrà il compito di colmare un grave vuoto di conoscenza. Pochissimi sono infatti gli italiani che conoscono il patto fondante che li lega e li rende consapevoli di essere cittadini sovrani.
L’obiettivo di far conoscere la Costituzione sarà perseguito in modo sistematico, ma graduale, partendo dalla scuola dell’infanzia e proseguendo con modalità di approccio diverse a seconda delle differenti fasce di età degli alunni.. Questo metodo sarà naturalmente applicato a tutte le educazioni. Avrete più avanti un esempio su come si può proporre la Costituzione, raccontandola, ai bambini più piccoli.
-l’educ. alla cittadinanza democratica e pluralista. Nel nostro Paese è necessario far crescere quelle risorse civili (valori e comportamenti), che abbiamo visto essere carenti, e che ci rendono cittadini. Oltre a far conoscere le norme che regolano la vita democratica, avrà lo scopo di educare i nostri alunni, e anche e quelli stranieri, al senso di appartenenza e alla condivisione di principi e valori ( quali libertà uguaglianza democrazia..). Inoltre, in una società sempre più multietnica, favorirà la comprensione e l’apprezzamento delle differenze culturali e una convivenza tra le diversità tollerante e attiva nel perseguimento del bene comune.
-l’educ. alla legalità, in un Paese in parte inquinato dalla delinquenza organizzata e dalla corruzione, e caratterizzato da mentalità e comportamenti diffusi che denotano carenza di senso civico (il mito della furbizia, l’insofferenza per le regole, la deresponsabilizzazione, la mancanza di rispetto per persone ambienti e cose), l’educ. alla legalità avrà lo scopo di educare alla responsabilità di ciascuno nel rapporto con gli altri, cementando comportamenti sociali corretti. La sua sfida sarà quella di rendere più affascinanti le regole e la legalità rispetto a quanto non lo siano le azioni illegali o trasgressive.
-l’educ. all’identità storico-artistica deriva dalla necessità di far conoscere meglio il nostro Paese e le sue tradizioni, la sua arte e la sua cultura, allo scopo di costruire un’identità collettiva e un senso di appartenenza alla comunità nazionale, fondato anche sull’orgoglio di essere eredi di un patrimonio storico-artistico degno di essere amato e rispettato.
-educ. ambientale ed ecologica. C’è bisogno di affrontare il problema di uno sviluppo sostenibile, modificando gli stili di vita e responsabilizzando circa l’uso delle risorse naturali e la tutela e il rispetto della natura e dell’ambiente
-educ. alla non violenza e alla pace. Impegnativa la sfida di questa educ. in una società e in un mondo intrisi di violenza, dove essa è entrata perfino nella scuola con il fenomeno del bullismo e il suo carico di prepotenze, umiliazioni e aggressioni, anche fisiche.
-educ. televisiva e multimediale. E’ una disciplina nuova, che noi riteniamo necessario introdurre nei programmi di insegnamento della scuola, per prevenire o, almeno, ridurre i danni di una fruizione passiva e inerme della tv e degli altri mezzi di comunicazione di massa.
Secondo Karl Popper, la tv è cattiva maestra ed educa i bambini alla violenza, producendo violenza e portandola in case dove altrimenti non ci sarebbe. Secondo John Condry è ladra di tempo e serva infedele, cioè anche bugiarda. Secondo Barbara Spinelli è una scatola tonta.
Essa influisce sulle azioni, sui valori e sulle credenze dei suoi spettatori. Non possiamo cambiare la tv, possiamo, però, cambiare il modo di guardarla. Possiamo educare i nostri alunni all’esercizio dello spirito critico e fornire loro gli strumenti per decodificare, secondo i diversi livelli, il linguaggio e i contenuti dei messaggi televisivi, trasformandoli da spettatori passivi e sottomessi in spettatori liberi e critici: cittadini e non sudditi della nuova società della comunicazione.
METODOLOGIA TEORICO / PRATICO – OPERATIVA
L’aspetto più innovativo della nostra proposta riguarda la metodologia, una metodologia anche del fare.
Una metodologia quindi non solo teorica ma anche pratico operativa, la sola in grado di incidere sulla modificazione o sull’assunzione di comportamenti, chiamando gli alunni a un ruolo attivo e positivo.
Una metodologia del fare e dell’agire, oltre che del conoscere e dell’imparare, che coinvolga l’intera personalità affettiva oltre che cognitiva degli alunni, motivandoli a un protagonismo creativo e responsabile.
Un fare di alunni portatori di valori da diffondere, sui temi dell’educazione civile, allo scopo di educare, oltre che di essere educati, attraverso creazioni e rappresentazioni teatrali (ne vedrete una tra poco di L. Turrini come es.), realizzazioni di giornali di istituto, mostre, concorsi di racconti poesie e messaggi.
Un fare di alunni che sperimentano la democrazia in classe e nella scuola, leggendo e confrontando quotidiani (Raymond Aron diceva che la lettura del giornale è la preghiera mattutina dell’uomo laico), partecipando a dibattiti e assemblee, impegnandosi nella stesura di regolamenti, carte dei diritti e dei doveri, ecc.
Un fare che scopra anche il gusto del lavoro manuale, con interventi atti a riqualificare l’ambiente della scuola, da luogo segnato dal degrado e dall’abbandono a luogo pulito e accogliente. Perché l’etica non si può imparare se non in ambienti attraenti e buoni, e con buoni esempi. Infatti, come dice Roberto Piumini, nella Nuova Commedia di Dante “il bello imbuona e il brutto fa feroce.”
E infine in una scuola dal clima sociale sereno e positivo, luogo di partecipazione e di dialogo autentici, dove anche leggere insieme le pagine di un libro, quello dell’Educazione civile.
Un libro dove, oltre ad apprendere contenuti ,
che talvolta ci aiuta a fissare in modo breve e magico una verità.
O in una testimonianza del passato o del presente
che con il suo orrore ci fa capire
che cosa è la guerra, la violenza dell’uomo sull’uomo.
O in un personaggio esemplare
da conoscere, amare e non dimenticare
come Falcone o Borsellino od Ambrosoli,
che con il loro esempio ci aiutano ad essere migliori.
INTERMEZZO
Valeria PELLECCHIA:
Adesso c’è la parte teatrale, la parte divertente degli interventi che si possono fare a scuola: un pó di teatro e lettura di poesie.
Lionello TURRINI:
Abbiamo una maestra e un bambino.
Silvia MERCOLI (attrice):
Da “La Costituzione raccontata ai bambini”.
DIRITTI INVIOLABILI E DOVERI INDEROGABILI (articolo 2).
La maestra:
Diritto alla vita, diritto al nome
Diritto a esprimere la nostra opinione
Diritto a esser liberi e mai sfruttati
Diritto al rispetto, .mai offesi o umiliati.
Diritti che vegliano la storia di ognuno
E che preferenze non fanno a nessuno
Valori vuol dire tradire davvero
Il patto che lega un popolo intero
Un patto che viene dai nonni coraggio
Che hanno lottato per farcene omaggio
Anche tu hai il compito di far da guardiano
Perché questo bene non ci sfugga di mano
Se chiami un diritto risponde un dovere
Chi ha sete beva ma lavi il bicchiere
Cosí chi vien dopo ha il bicchiere pulito
Diritto e dovere… non so se hai capito!
Il bambino:
Sí che ho capito diritto e dovere!
Devo lavare sempre il bicchiere
Dove la mamma mi versa il diritto
Un succo al giorno… sono un bel dritto!
Lionello TURRINI:
Adesso Chiara Jacono, con due poesie.
Chiara JACONO (attrice):
“Strontium 90” (di Nazim Hikmet)
Che strano tempo fa:
ora la neve, ora il sole,
ora la pioggia.
Sono gli esperimenti atomici – dicono -,
lo Strontium 90 si posa
sull’ erba,
sulla carne,
sulla segale.
Sulla speranza
e sulla libertà
e sul grande sogno,
alla cui porta
bussiamo…
Siamo in gara con noi stessi, o mia rosa,
o noi porteremo la vita
sulle stelle morte
la morte
calerà sul nostro mondo.
“Trepidiamo per voi, bambini inerti” (di Anselmo Pellecchia)
Trepidiamo per voi, bambini inerti,
che, spenti dal video,
non avete più sogni da inventare,
né fiabe più da raccontare.
Persi i miti nel dedalo
di specchi deformanti,
ora sembrate passeri malati,
senza effusione di linguaggi,
in cui risalta sempre un sentimento;
solo visioni mai vissute
offuscheranno ahimè la vostra mente.
Silvia MERCOLI e Davide GARBOLINO (attori):
(Scenetta: Il Preside)
Scena vuota. Suona il campanello d’ingresso. Esce una donna: è la mamma di uno studente. Va ad aprire. Entra il Preside.
PRESIDE Buongiorno, signora. Sono Matteucci, il preside della scuola frequentata da suo figlio.
MAMMA Oh, signor preside, che onore. Prego, si accomodi. A cosa devo l’onore? C’è qualcosa che non va? Mio figlio ha bei voti e quindi…
PRESIDE Stia tranquilla, signora, non sono qui per i voti. So, so che è molto sveglio (si siede sul divano e mette i piedi sul tavolino di fronte).
MAMMA Ah, meno male. (osserva, stupita, ma finge di non accorgersi) E mi dica, c’è qualcosa di… nuovo?
PRESIDE Sì, volevo parlarle di suo figlio, di come si comporta a scuola.
MAMMA Oh, certo, certo, signor preside. Posso offrirle un caffè, intanto? Le parli pure, la casa è piccola e sento anche se sono di là in cucina (esce).
PRESIDE (prende un temperino e si mette a incidere sul legno del tavolino) Sa, signora, oggi i ragazzi sono un po’ irrequieti…
MAMMA (da fuori) Ha ragione, anche in casa, sa? Ma cosa vuole, sono ragazzi.
PRESIDE Ai quali è permesso tutto?
MAMMA (da fuori) Be’, no, ma bisogna capirli…
PRESIDE Certo, capire i ragazzi è il nostro dovere principale. Ma quando sbagliano bisogna correggerli e quando non ci si riesce, è necessario l’intervento della famiglia, non crede?
MAMMA (ancora fuori) Oh, sì, Comunque il mio è bene educato e si guarderebbe bene dal fare cose non permesse. (rientra con il caffè) ma… parliamone dopo, beva il caffè che è bello caldo.
PRESIDE (mette il dito nel caffè e poi lo striscia sulla parete, lasciando evidenti segni marroncini) Buono il suo caffè, signora.
MAMMA Mah, signor preside, cosa fa? (depone la sua tazzina sul tavolino e vede i segni di incisione) E questi? Ma li ha fatti lei?
PRESIDE Sì, le piacciono? È la nuova tendenza…
MAMMA Piacciono? Ma lei mi sta rovinando la casa: le strisce sulla parete, le incisioni sul tavolino, per non parlare dei piedi appoggiati sopra, perché ho visto, sa, anche se fingevo di non vedere, ho visto quanto è maleducato. E lei sarebbe un preside? Ma dove ha imparato l’educazione?
PRESIDE Dai miei genitori, esattamente come suo figlio ha imparato da voi.
MAMMA Lasci stare mio figlio. Lui non farebbe mai queste cose.
PRESIDE Ah, no? E allora perché crede che io sia venuto qui? Ho voluto mostrarle, in casa sua, ciò che suo figlio fa in casa mia, cioè nella scuola. E non le ho ancora rotto i vetri (prende un posacenere e fa per scagliarlo contro la finestra).
MAMMA Fermo, ma è impazzito?…
PRESIDE (sorride) No, non sono impazzito, però sono veramente seccato dal comportamento di suo figlio. Questi sono segni che spariscono (pulisce la parete) ho finto dimettere il dito nel caffè e anche questi (soffia via la cera appoggiata al tavolino) sono finte incisioni. I danni, a scuola, invece sono veri… per non parlare dei piedi appoggiati al banco davanti, sulle poltrone della saletta di attesa, eccetera.
MAMMA Oh, Dio, vuol dire che…
PRESIDE Che suo figlio, come la maggior parte dei ragazzi, è un vandalo. La sua reazione al mio precedente comportamento è uguale alla mia, tutti i giorni, a scuola. Tutti i giorni. Per colpa di ragazzi ben educati come suo figlio. Arrivederci, signora: le manderò il conto dei danni e, se veramente vuole educare suo figlio, li faccia pagare a lui, con le sue mance. Deve sacrificare qualcosa. Se li pagate voi, continuerà a farli. Ci pensi.
MAMMA (lo accompagna alla porta) Arrivederci, signor preside, ci penserò. Certo, che ci penserò. (FINE )
Lionello TURRINI:
Allora, che ne dice preside Cutolo?
Vincenzo CUTOLO:
Mi sono un po’ riconosciuto…
IL DIBATTITO
Lionello TURRINI:
Quante volte vien voglia di andare a casa dei genitori dei ragazzi e dire loro quello che a scuola i loro figli combinano…Bene, noi abbiamo praticamente finito. Se qualcuno vuole esprimere la sua opinione, dire qualcosa… Abbiamo ancora alcuni minuti, per qualche intervento, qualche aggiunta.
Simonetta SANTINI :
Io vorrei dire che nella nostra scuola, la media statale “Tiepolo”, abbiamo appena avuto un Collegio docenti e abbiamo deciso di proporre come offerta formativa, ai genitori che verranno a iscrivere i figli per il prossimo anno, un’ora di “Educazione Civile” strutturata e ben definita.
Valeria PELLECCHIA PRATELLI:
Sono contentissima. Anche se (posso dire una cosa?) c’è la metodologia di cui ho parlato, diventa materia teorica. Non so che influenza possa avere… Comunque, è meglio cominciare.
Silvia PIERI:
Io volevo far presente la situazione della scuola elementare. Io insegno alla “Bacone”. La riforma Moratti ha tagliato anche i programmi di Storia e Geografia. Alle elementari la storia si studia fino all’antica Roma e poi si prosegue il percorso alle medie. Quindi i ragazzi arrivano a quattordici anni e non sanno nulla del nostro Paese (come si è formato, etc.). E anche a livello geografico rimaniamo soltanto all’Italia, non approfondiamo e non andiamo a studiare l’Europa e i Paesi del mondo, visto che abbiamo tanti bambini non italiani in classe.
Ritengo che l’educazione civica sia importantissima. Io saró favorevole e spero che venga approvata la vostra proposta. Peró penso che anche la storia e la geografia debbano recuperare il loro spazio anche alle elementari, perché comunque il disagio che si affronta per queste materie alle elementari non è lo steso che si affronta dopo. E i bambini hanno il diritto, anche a dieci anni, di sapere come è nata l’Italia. Io ho una quinta e c’è dall’anno scorso questa riforma. Sto portando avanti, nel mio piccolo, programmi diversi. Peró so che tante scuole non lo fanno. Volevo testimoniare questa cosa e secondo me è necessario riformare la scuola in generale. Scusatemi per come ho parlato, ma sono emozionata.
Valeria PELLECCHIA PRATELLI:
La Moratti ha scompaginato, ha stravolto i programmi con questo scopo, tutti insieme. Ci sono cinque minuti, li utilizziamo tutti.
Simonetta SANTINI:
I ragazzi devono essere protagonisti, nella fase operativa.
Valeria PELLECCHIA PRATELLI:
Certo. Per esempio, la scuola se la puliscono loro è loro e guai a chi la tocca.
Vincenzo CUTOLO:
La professoressa Santini, ottima docente della “Tiepolo”, si iscriverà all’associazione e contribuirà alla redazione di un programma strutturato per questa disciplina.
Valeria PELLECCHIA PRATELLI:
Poi ci saranno, comunque, anche le attività interdisciplinari, per cui si possono fare dei progetti dove si lavorerà in modo concreto, con unità didattiche, unità di apprendimento. Abbiamo adesso l’onore di un intervento di Roberto Piumini.
Roberto PIUMINI:
Un intervento linguistico. Partiamo dal brano della Costituzione in filastrocche, che è stato prima letto. Da un punto di vista di comunicazione era simpatico ma era sbagliato, perché in una filastrocca di quattro strofe nelle prime tre si dichiaravano in modo rimato i valori ultimi della Costituzione ed erano noiosi per i bambini. Erano affermazioni: bisogna fare il bene e non bisogna fare il male, facciamo tutti il bene e non facciamo tutti il male. L’ultima delle quattro strofe era divertentissima: “io bevo, poi pulisco”. Infatti la risposta del bambino era giustamente comica, con un finale simpatico.
Attenzione. Facciamo in modo che la comunicazione, soprattutto quella ai bambini, sia meno astratta possibile, perché se no riabituiamo (in modo improprio, con le coscienze a posto, ma fallimentare) a confrontarsi con le dichiarazioni di valore e non con la pratica, che può essere anche una pratica immaginaria, una fiction di casi, una casistica morale e teatrale non dichiarativista.
Una delle componenti linguistiche necessarie per fare un lavoro non è mai quella di dare informazioni astratte di valore, perché altri hanno anche strumenti più potenti per non dire o dire cose opposte, ma con una grande praticità, che non vuol dire solo manipolatoria (che è importantissima, chiaramente, penso ai tuoi ragazzi che hanno pulito l’aula, Valeria, quelli di cui mi hai raccontato), ma che mostri sempre il ruolo della sofferenza. Più fatti che parole, ma soprattutto nel parlare far riferimento alla esistenzialità documentata piuttosto che fare dichiarazioni pur buone e pur divertenti.
Esempio pratico: c’è tutta una paraletteratura e anche una letteratura infantile che è educazione civica. Premesso che è da scartarsi l’idea di autori che scrivano programmaticamente per produrre educazione civica, di fatto esistono testi più organici a tale discorso rispetto ad altri, che sono magari del tutto vuoti o addirittura contrastanti o normativi e che sono dannosi per il motivo che dicevo prima. Che per esempio questa vostra iniziativa, in una qualche sua branchia operativa, proponga a livello formativo e a livello di disponibilità materiale utile per una bibliografia non dei libri scritti per fare educazione civica, ma dei libri in cui ci sia dentro un’elaborazione del problema civismo, magari anche associata a una bellezza che possa creare empatia e possa creare una identificazione. Questo potrebbe essere un bel servizio.