Si chiamava Rosaria De Filippo. E’ morta a Sarno, il 26 febbraio. Ne scrivo non solo perché era figlia di un amico medico e di una mia dolce compagna di liceo (poi collega di insegnamento, morta anni fa anche lei), ma perché i suoi ultimi anni di vita, segnati da un inesorabile cancro al pancreas, le hanno meritato attenzioni ed affetti da parte di migliaia di persone. Prima di lasciarci ha ricevuto la telefonata di Papa Francesco.
Negli ultimi tre anni di vita, quelli della sua malattia, Rosaria aveva pubblicato su Facebook centinaia di post relativi alla sofferenza, alla fede, alle gioie, alle speranze, alle emozioni, agli affetti, commuovendo amici e persone anche lontane, virtuali, con riflessioni struggenti e ricche di umanità.
Rileggendo quei bellissimi post, ho pensato ad Anna Frank, cui Rosaria va accostata per la comune, interiore energia di vita e per il comune desiderio di uscire da un involucro soffocante: per Anna, la costrizione in un rifugio segreto; per Rosaria, la convivenza con un cancro ferale.
L’ <urlo> di Rosaria, caratterizzato da amore e attaccamento alla vita, mi ha anche fatto pensare alla metafora di Pirandello sulla condizione umana e la morte: l’uomo è come una mosca – dice lo scrittore – imprigionata in una bottiglia (che è una trappola indecifrabile, nonostante la trasparenza), e la sua esistenza è un costante ronzio, un folle volo incomprensibile nella vita.
Rosaria era animata da grande fede. Ogni sera, con molte amiche, aveva appuntamento a distanza per una comune preghiera. E il suo era un cattolicesimo laico, laicamente umano (“Il mio Gesù non è uguale a quello degli altri… il mio Gesù bada alla sostanza e non alla forma… è poco interessato al fatto che tu entri in chiesa con la minigonna o con i pantaloni, che tu mangi o non mangi carne il venerdì di quaresima, che tu sia sposato o divorziato, che tu sia etero o omosessuale… per il mio Gesù siamo tutti figli suoi e conta la nostra anima, il nostro cuore”).
Tuttavia, prostrata dal dolore, ella arriva a dire: “Io e Gesù abbiamo litigato tanto in questi giorni. Gli ho urlato che non meritavo questa malattia, che doveva liberarmi; e se proprio non poteva farlo, doveva almeno darmi la speranza per continuare a lottare”.
Il senso religioso della vita ella lo esprime così: “Prego poco, non quanto dovrei, ma preghiera non è solo recitare il Rosario, preghiera è fare del bene, è aiutare gli altri quando ne hanno bisogno…”.
Sul cancro i suoi post si diffondono molto. “La vita mi ha messo a dura prova, mi sono ritrovata a 38 anni con un cancro da combattere, il tempo è trascorso e ho dovuto fare i conti con un corpo che non è il mio, con delle gambe che non riescono a fare il loro lavoro, con una testa pelata che porto senza vergogna, ma non senza sofferenza.”; “Il cancro non è solo chemio, perché se fosse solo questo sarebbe quasi sopportabile; il cancro è un pensiero costante, è attesa delle analisi, della tac, è un corpo e un viso trasformati, è paura di morire e voglia di vivere nonostante tutto; il cancro è un nemico che non ti dà tregua …”; “Ho capito che il cancro non è quello che descrivono nei film, quella è finzione, la realtà è un’altra cosa… ho conosciuto i neutrofili, i linfociti, i globuli bianchi, le piastrine … “; “Mentre te ne stai sola o tra la gente, pensi spesso che quel cosino dentro di te vorresti non fosse mai arrivato”; “ Spesso, mentre sono da sola, ripeto ad alta voce: <se la gente sapesse…> … è vero, se voi sapeste ciò che solo noi che abbiamo il mostro dentro sappiamo, se voi aveste una vaga idea di quanto sia complicato a volte anche solo abbottonarsi una camicia senza sentirsi diversi, di quanta pazienza bisogna armarsi per sopportare l’idea di dover vivere una vita a metà, un’alternativa alla vita …”; “Guardo la mia casa piena di farmaci e mi chiedo se verrà mai il giorno in cui potrò buttarli … se verrà mai quel giorno in cui potrò dire a me stessa: <è finita, riprendo la mia vita> “; “Con il nemico parlo spesso… gli ripeto che non vincerà, lo faccio quando si fa sentire, quando mi costringe a sopportare il dolore, quando semina terrore attraverso sensazioni strane”; “Io non amo il cancro, cerco solo di ritagliarmi angoli di paradiso nell’inferno che vivo…”; “Ho sempre freddo; stufa, climatizzatore, termosifoni non riescono a riscaldare i miei piedi e le mie mani. Giro per casa appoggiandomi alle pareti… non mi abituerò mai a questo corpo rallentato, affaticato… “.
Il 25 dicembre Rosaria ha scritto: “Ho scoperto di avere una metastasi ossea collocata a ridosso del midollo spinale che avrebbe potuto lasciarmi sulla sedia a rotelle. Pericolo che saprò di aver scampato solo tra un mese e mezzo”.
Ma la morte l’ha stroncata prima di quel responso.
Ciò che colpisce, nel suo particolare “diario”, è l’amore fortissimo che Rosaria provava per il dono della vita. Piangendo, ella urla: “ <Ho bisogno di giorni, chi me li regalerà questi giorni?>. Mi accade quando si avvicinano le analisi, la chemio e vorrei che il tempo si dilatasse, che i giorni durassero anni”. Oppure: “Io non muoio… io non vado via… io resto qui su questa splendida terra, in questo splendido mondo e vivo, vivo, perché la mia sete di vita non si placherà mai”; “Che vita sarebbe una vita vissuta pensando alla morte? Io voglio vivere adesso, non perdermi niente, recuperare ciò che non ho fatto in passato e rubarmi tutto il futuro che mi resta…”; “Ogni vita vale la pena di essere vissuta… anche la mia che, ai vostri occhi può non sembrare essere vita, per me è bellissima”; “Sono ancora qui e voglio guardare il mondo con gli occhi stupiti di un bambino”; “Io non smetto mai di aspettare e sperare che questo presente diventi passato e che il mio futuro si colori di nuovo”.
Struggenti sono anche le esortazioni alla felicità. Rosaria dice al mondo: “Ritrovate, se l’avete perso, il piacere della vita, cercatelo ovunque, in ogni cosa. E non dimenticate mai, mai che c’è chi la vita ha paura di perderla in ogni istante”; “Io dovrei odiare la vita per ciò che sto vivendo, dovrei essere arrabbiata, incattivita… invece anche le cose brutte possono diventare belle, se impariamo ad apprezzare ogni cosa, a godere di tutto… Amo la mia vita, la preferisco a quella di tanti che, pur non avendo problemi, trovano sempre il modo di rattristarsi”.
Il più struggente e commovente suo “grido” è però quello dell’ultimo post, pubblicato l’11 febbraio, pochi giorni prima della sua morte: “Vivete i vostri giorni meravigliosi, vivete anche quelli che lo sono meno, innamoratevi della vita anche quando non vi regala ciò che desiderate. Io ci sto provando, il mio sorriso è un sorriso alla vita, anche se adesso non va come vorrei”.
Ho pianto per la morte di questa giovane e sublime donna. E ho pensato ai versi di Virgilio:
“purpureus veluti cum flos succisus aratro
languescit moriens, lassove papavera collo
demisere caput pluvia cum forte gravantur”
(come un fiore purpureo quando, reciso dall’aratro, languisce morendo, o come i papaveri che chinano il capo sul collo stanco, quando la pioggia li opprime).
(I Fatti, 2018 )