Il convegno su “Scuola, mafia, malgoverno”
Alla “Ferraris” di Milano, con Tullio Barbato, Ileana Gaddini, Piero Martello, Riccardo Massa e Carlo Smuraglia
Trent’anni fa, quando con la legge 1859/62 fu istituita per la prima volta in Italia la scuola media unica per tutti (la “scuola di tutti e di ciascuno”), la delinquenza organizzata non era prepotente e forte come oggi: la vecchia camorra della Campania aveva ancora “leggi” tradizionali, la ‘ndrangheta si limitava a taglieggiamenti interni alla regione calabrese, la mafia era ancora prevalentemente gestita con i metodi delle vecchie bande delle campagne malgrado le spinte americane al traffico della droga.
Non eravamo ancora alla barbarie di oggi: in questi trent’anni la delinquenza organizzata ha tagliato le teste, ci ha fatto informare di cose orribili, ha fatto arrivare anche ai nostri ragazzi il terrore e l’orrore. Oggi la delinquenza organizzata è una holding internazionale, che usa gli strumenti più sofisticati ed è un fenomeno collegato a livello planetario.
Negli anni in cui fu varata la legge 1859 si verificò anche una rivoluzione politica. Per la scuola qualcuno usò il termine “copernicano”: in Italia, infatti, dove le classi subalterne erano state sempre escluse dalla scolarità, per la prima volta tutta la società “infantile” veniva immessa in un alveo unico per tutti, con opportunità date in modo paritario per tutti. Per i partiti che votarono la riforma si trattò di un grosso travaglio.
Riflettere oggi su quel travaglio è un po’ riflettere su che cosa sono i partiti e sul ruolo che essi devono svolgere in una società complessa come quella italiana.
Negli anni in cui fu varata quella legge, i partiti rappresentavano ancora le “partes” della società: c’era una Destra, legata alla grande imprenditoria o ai rigurgiti monarco- fascisti; un Centro, che si aggregava intorno alla DC; una Sinistra, che aveva come perno il PSI e il PCI (legati fino al 1956 in una visione “frontista”).
Dopo i fatti d’Ungheria il PSI, staccatosi dal PCI, ritrovò una sua autonomia e puntò all’alleanza di governo con i partiti che tradizionalmente avevano retto le sorti della Repubblica. Nacquero, nel giro di pochi anni, il Centro-Sinistra e (quale primo risultato dell’alleanza) la scuola media unica obbligatoria. Molte furono le speranze e le simpatie per quella “rivoluzione politica” (si pensi, per fare un solo esempio, a ciò che di essa scrisse P. P. Pasolini).
Tuttavia oggi – a distanza di trent’anni e dopo tutto ciò che ha travagliato la nostra società (il ’68, i movimenti studenteschi, il brigatismo, la droga, l’intera serie di fenomeni che hanno tangenzialmente o direttamente coinvolto la scuola) ci troviamo di fronte a “partiti” che hanno quasi totalmente perduto la connotazione di allora.
Oggi i partiti non rappresentano più determinate parti della società e si equivalgono tutti: nella gestione del quotidiano, del contingente. Appare sempre più chiaro che essi non aspirano più a grandi ideali. Il fenomeno Tangentopoli non è altro che la esemplificazione di un sistema che oggi coinvolge il mondo economico e quello politico in un pauroso meccanismo di appropriazione dei beni della società e dello Stato: la gestione della politica, in questi anni, è stata una mostruosa spartizione tra imprenditori e classe politica, che ha alimentato la mafia e condotto a immorali spinte all’arrembaggio affaristico.
Naturalmente la scuola è indotta a riflettere su tali gravi fenomeni. Per la scuola sono passati e passano anche grandi e piccoli delinquenti: il piccolo teppista che ruba, o pratica l’estorsione, dopo aver abbandonato la scuola; il commercialista o l’avvocato, arrestati perché “colletti bianchi” della mafia; il “politico” corruttore o corrotto.
La scuola è la protagonista, nel bene e nel male, di ciò che l’Italia esprime a livello di grande crisi della società e della politica. E in questi anni essa ha dibattuto sul suo ruolo facendo perfino ammenda dei propri errori. Si pensi a “Lettera a una professoressa” di don Lorenzo Milani, oppure al libro di Barbagli-Dei “Le vestali della classe media”, in cui si individuavano coloro che nella scuola “custodivano” i valori di una vecchia società separata dalla riforma.
Peraltro la scuola non è l’unica agenzia culturale chiamata a formare i giovani. C’è anche una “scuola parallela”, potentissima, quella dei mass media e della TV in primo luogo.
Inoltre nell’istituzione scolastica coesistono, come nella società esterna, innovatori e nostalgici. Quando si fa lezione, la storia la si può leggere ad esempio in tanti modi. Quando si fa Educazione Civica e si parla dei partiti, ciascun docente è animato dalle proprie spinte ideologiche, dalle proprie tendenze.
Non c’è, nella scuola, una visione univoca della realtà. La riforma del ’62 ha dato un indirizzo generale, i programmi del ’79 hanno cercato di razionalizzare ulteriormente le innovazioni, ma è chiaro che la scuola è fatta di momenti differenziati nella costruzione formativa del ragazzo. La società fa il resto.
Io sono Preside di una scuola media della Campania. La mia realtà è diversa da quella della Ferraris. Sono costretto, ad esempio, a sollecitare numerose famiglie a mandare i figli a scuola. Il fenomeno è presente anche qui, ma in misura limitatissima. Nella realtà campana alcuni adolescenti evasori li potete anche trovare taglieggiatori di commercianti, venditori di sigarette di contrabbando, figli di detenuti, fratelli di fermati per spaccio di stupefacenti, potenziali killer. Cosa deve fare lì la scuola? A mio parere, essa deve soprattutto far rispettare l’obbligo dell’istruzione. In Campania siamo al 20% di “mortalità scolastica”. Non conosco i dati della Lombardia, ma credo che il fenomeno vada letto con attenzione non tanto per la città di Milano, quanto per il suo hinterland, dove la devianza è una grave piaga sociale.
Lo Stato deve poter investire di più per la scuola, soprattutto nel Sud. Il Provveditore di Napoli ha dichiarato che, solo per i banchi e le sedie, in quella provincia occorrerebbero 1 miliardo e 600 milioni.
Io sono in una scuola dove delle dotazioni audiovisive e didattiche non è rimasto più niente. I ladri hanno asportato tutto: dieci furti in pochi anni. Per non dire dei raid teppistici. Sono cose che avvengono anche a Milano, certo: la scuola media “Mazzali”, qui nella Zona 17, è stata quasi interamente bruciata la scorsa estate. E anche qui alla “Ferraris” abbiamo subito furti, sventati per fortuna dai dispositivi di allarme. Il fenomeno della delinquenza è presente dappertutto, in misura maggiore o minore. E se la “cultura della delinquenza” prende corpo e forza, nella società, evidentemente ciò avviene perché i valori in questa predominanti sono diversi da quelli della scuola. La “scuola parallela” offre controvalori che oggi “penetrano” nel desiderio del giovane.
La scuola deve con ogni sforzo continuare a offrire i valori etici della cultura. Abbiamo quasi sconfitto l’analfabetismo, ma il divario Nord- Sud è ancora forte. In Italia ci sono luoghi di lavoro e di disoccupazione, aree di benessere e aree di arretratezza. L’unità nazionale l’abbiamo costruita insieme, nel bene e nel male, in oltre un secolo. Tutti hanno contribuito: anche i contadini meridionali che si sono fatti uccidere sul fronte, anche i nostri emigranti. Tutto fa parte di una storia che ha luci e ombre.
Alla scuola si richiedono oggi soprattutto democrazia, uguaglianza, solidarietà. Solo sentendosi liberi e uguali, i giovani possono assimilare i valori etici. Quando c’è disuguaglianza o difficoltà sociale, quando i riferimenti istituzionali sono di corruzione, è chiaro che la cattiva erba alligna anche nella scuola. E la mortalità scolastica diventa un fenomeno inarrestabile, con tutte le conseguenze delinquenziali che uno può immaginare.
Oggi la scuola vive paradossalmente un grande momento di protagonismo, per il crollo dei valori di altre Istituzioni. In essa operano tantissime persone che, per lo più, hanno fatto volontariamente la scelta dell’impegno educativo e che costituiscono la grande potenzialità della società di domani. Se tale potenzialità diventa consapevolezza, io credo che lo “spirito dell’utopia” e la speranza potranno ancora tornare a vivere, nel nostro Stato.
( La Voce della Scuola: Nord-Sud, dicembre 1992 )
NOTA: L’intervento fu pronunciato “a braccio”.