Riporto un’esperienza personale, per ricordare come sia difficile fronteggiare il fenomeno del bullismo a scuola.
Dirigente scolastico a Milano, comminai col Consiglio di classe la sanzione disciplinare di due giorni di sospensione a quattro alunni di terza media, i quali avevano proditoriamente imbrattato di vernice il vestito di una compagna (cui avevano anche calpestato e rotto il registratore). I genitori dei quattro alunni mi chiesero subito un colloquio ed io spiegai loro i motivi educativi della sanzione. Il giorno dopo il colloquio mi pervenne la lettera di un avvocato (incaricato dal genitore del leader dei quattro bulli), con la quale mi si chiedeva di revocare la sanzione disciplinare giacché “non comminata dal Consiglio di disciplina”. Risposi formalmente all’avvocato che nella scuola media, a differenza di quella superiore, non esiste alcun Consiglio di disciplina e gli ribadii che la sanzione – legittimamente comminata – era da intendersi confermata. L’episodio non ebbe altro seguito, ma fece prendere atto – a me e ai docenti – che spesso i genitori non aiutano la nostra scuola nel suo compito educativo e, al contrario, scelgono di “proteggere” i figli impedendo loro di crescere in modo responsabile e sano.
Le caratteristiche dei bulli sono da tempo note. Essi sono adolescenti contraddistinti da personalità aggressiva, volontà di dominio, visione positiva della violenza, tendenza all’autogiustificazione e al disimpegno morale.
L’aggressività di cui sono portatori va collegata a uno stato di frustrazione (da cui ha origine, per reazione, il loro atto aggressivo), ma anche all’imitazione di modelli di prevaricazione, osservati in TV o mutuati dall’informazione, e alla incapacità di elaborare soluzioni alternative all’aggressione. Alla base c’è, comunque, un inadeguato funzionamento del loro processo socio-cognitivo.
Le prepotenze dei bulli vengono attuate con modalità differenti. Possono essere, infatti, individuali o di gruppo, indirette o dirette (con attacchi alla “vittima”, fisici o verbali; con diffusione di bugie su di loro, isolamento sociale, esclusione da attività comuni e giochi).
A scuola le prepotenze – in forme spesso ignote sia ai genitori che agli stessi docenti – si verificano nelle aule, nei corridoi, nei bagni, in cortile (ovviamente in modo diverso a seconda di regioni, territorio, modello educativo). La vittima può essere “passiva” (se persona timida, insicura, ansiosa, di scarsa autostima), oppure “provocatrice” (se irritabile, irrequieta, iperattiva, anch’essa aggressiva e poco popolare tra i compagni).
Nell’azione di bullismo, col bullo e la vittima spesso sono coinvolti anche i compagni di classe o del gruppo: in qualità di aiutanti e sostenitori del primo; o come difensori della vittima; o, infine, come spettatori passivi.
Occorre con preoccupazione notare che gli effetti del bullismo possono durare anni, sia nelle vittime che nei prevaricatori. Col tempo le vittime sviluppano, infatti, atteggiamenti di intolleranza e fastidio verso l’esperienza scolastica o addirittura disperazione e depressione; mentre i bulli spesso diventano delinquenti, talvolta denunciati e puniti.
Cosa fare, per debellare o prevenire il bullismo?
Tutti concordano che sia necessaria un’azione sinergica tra scuola e famiglia. La famiglia, nolente o inconsapevole, spesso concorre però anch’essa a sviluppare nei ragazzi atteggiamenti violenti e prevaricanti. Numerosi sono, infatti, i genitori che adottano modelli educativi sbagliati (tramite la freddezza affettiva nella prima infanzia dei figli; lo scarso controllo delle loro attività e compagnie; il permissivismo verso i loro comportamenti violenti; i metodi punitivi lesivi dell’autostima degli adolescenti).
Ma anche nella scuola si può correre il rischio di incentivare il pernicioso diffondersi delle prepotenze. Le quali possono venire sia dal “gruppo” (quando questo tende all’imitazione delle violenze osservate o all’abbassamento delle inibizioni), sia dagli stessi adulti impegnati nell’istituzione (quando diffondono stili educativi sbagliati, eccessivamente autoritari o eccessivamente permissivi).
Personalmente credo che, per fronteggiare il grave problema, le scuole debbano strutturare una chiara e condivisa “politica integrata”, con obiettivi virtuosi concordati unitariamente tra personale docente e non docente, e tra genitori e ragazzi.
Gli alunni andrebbero educati alla consapevolezza delle prepotenze, al rifiuto di atteggiamenti e condotte prevaricanti, all’empatica comprensione per i compagni “vittime”, infine alla diffusione di abitudini antivessatorie. Guidati dai docenti, i ragazzi potrebbero anche organizzarsi in gruppi e contrastare il bullismo col metodo del problem-solving. Potrebbero, inoltre, utilizzare filmati cinematografici, brani di letteratura, rappresentazioni teatrali (tese a esplorare il problema delle prepotenze), dibattiti collettivi, discussioni sulle regole miranti alla convivenza civile.
Gli alunni andrebbero sempre più educati ad ascoltarsi, a parlare l’uno con l’altro dei problemi che vivono, a promuovere rispetto, collaborazione, reciprocità di aiuto.
Si dovrebbe, ovviamente, anche provvedere a un adeguato addestramento del personale non docente dell’istituzione. I buoni risultati, nella gestione delle situazioni conflittuali tra i ragazzi, si ottengono – non va dimenticato – solo se l’istituzione è dotata anche di collaboratori scolastici all’altezza del compito.
Riscontro con soddisfazione (dai suoi interventi educativi, progettati e attuati) che il Liceo scientifico “G. Giorgi” di Roma può essere a buon diritto incluso tra le istituzioni scolastiche più virtuose. Quelle da cui può derivare, per tutti noi, la speranza di contenimento dei guasti del bullismo, sempre più dilaganti e perniciosi.
(”Contro il bullismo a scuola”, Istituto Giorgi-Woolf, Roma 2019, Introduzione)