Goffredo Locatelli, IL DEPUTATO DEI VENTISETTE VOTI
La storia vera e mai scritta di Giovanni Amendola
Più che alla tradizionale attenzione alle forze economiche, sociali e demografiche delle comunità umane, la scrittura storica contemporanea tende alla “narrazione dell’individuo”, al “ritorno al racconto”. È la tendenza che caratterizza oggi la maggior parte degli scrittori che si occupano di biografie, come osserva – nel saggio Viaggio nella storia – lo studioso inglese Lawrence Stone.
La storiografia, quindi, “narra”. Vale a dire “racconta” la vita dell’individuo nella sua interezza, includendovi sentimenti, stati d’animo, emozioni profonde. Prospettiva che, a ben guardare, può forse trasformare la scelta biografica in elemento funzionale anche a un rilancio della storia politica.
Nel suo ultimo libro intitolato Il deputato dei ventisette voti. La storia vera e mai scritta di Giovanni Amendola (edito da Mursia, 2014), che va degnamente ad aggiungersi alle altre pubblicazioni che lo hanno reso famoso anche come scrittore, il giornalista Goffredo Locatelli mostra di aderire con convinzione al filone stilistico richiamato da Lawrence Stone.
Tra gli scopi del libro l’autore inserisce il tentativo di non far morire la memoria della vicenda storica di Giovanni Amendola. E pare cogliere con sicuro successo tale meritorio obiettivo, giacché restituisce a lettori la coerente figura di un uomo politico meridionale il quale dedicò l’intera azione pubblica e personale al tentativo durissimo di legare gli ideali della democrazia liberale (non disgiunti da una “kantiana” visione morale) alle esigenze di vita della complessa comunità italiana del tempo (in particolare di quella di Sarno, la città dei suoi genitori, che lo elesse per tre volte Parlamentare; la “Manchester del sud”, agitata da conflitti aspri tra grande borghesia industriale e classe operaia socialista e dagli altalenanti interessi della borghesia del commercio e del piccolo impiego).
La biografia politica del Deputato di Sarno è da Locatelli narrata in modo avvincente, come un romanzo ben scritto. Ed ha un taglio stilistico che rimanda agli artifici tecnici spesso presenti in letteratura italiana. Come infatti il Manzoni (che attribuì la storia dei suoi promessi sposi a un “manoscritto”, di cui modificò lingua e costrutti), o come recentemente il linguista Raffaele Simone (che ha narrato le passioni dell’anima del filosofo René Descartes facendo apparire autentici dei documenti da lui magistralmente inventati), così lo storico Goffredo Locatelli narra la vita di Amendola inventando moduli narrativi abilmente attribuiti all’avvocato di Siano Federico Donnarumma, segretario-assistente del Deputato.
Il racconto della vita di Amendola è in prima persona. Narrato però non dal protagonista dei fatti, ma da quell’avvocato suo segretario. Il quale, testimone e commentatore, nel libro risulta essere un letterario e finissimo “spirito”, creato e animato dallo scrittore per attraversare con partecipe sensibilità gli anni più importanti della vita del Deputato meridionale. Che di artificio letterario si tratti, lo dimostra anche la definizione che Giorgio Amendola (nel suo Una scelta di vita) diede del Donnarumma segretario del padre: “un avvocato di provincia, di affettuosa e pressante devozione, ma di approssimativa preparazione culturale”. Il Donnarumma del libro possiede invece una cultura niente affatto approssimativa. Egli è dotato di una elevata preparazione, profonda e robusta, che spazia dalla attenta lettura dei contemporanei avvenimenti politici fino all’analisi dei sentimenti dei personaggi, dalla descrizione lirica dei luoghi fisici fino al tratteggio acuto e rapido di caratteri e fisionomie.
Le vicende narrate da Donnarumma/Locatelli sono in prevalenza quelle della storia politica del Deputato Giovanni Amendola: dalla sua candidatura al Parlamento italiano (offertagli dai liberali del collegio Sarno – San Severino Mercato, nel 1919) fino alla sua morte in Francia nel 1926, sopraggiunta per le ferite interne prodottegli in Italia dalla violenza fascista.
Il racconto rievoca i successi elettorali di Amendola del 1919 e del 1921 (con i conseguenti incarichi di Sottosegretario nel governo Nitti e di Ministro nei Governi Facta precedenti la marcia su Roma), e la sua rielezione nel 1924, che però a Sarno – per i brogli elettorali, la pervicace opposizione degli avversari fascisti e il tradimento dei suoi vecchi sostenitori – gli fece raccogliere solo 27 voti, a fronte dei 2000 voti ricevuti nel 1921.
Ma del Deputato di Sarno Locatelli narra anche la delicata vicenda coniugale e familiare, segnata dal sofferto rapporto tra lui e la moglie Eva Kühn, una bella emigrata lituana colta, raffinata, di spirito libero, affetta da nevrosi ipermaniacale che le produceva iperattività ed euforia, alternate a stasi, depressione e tristezza.
Il libro scava nella vita coniugale dei due personaggi facendone emergere le sofferenze reciproche: quelle dell’uomo, amareggiato dai tradimenti di lei e dalle sue continue fughe (a Capri, a Milano o sul lago di Como); e quelle di Eva, alla ricerca incessante sia di emozioni intellettuali e vitali (fu amante di Boine e di Marinetti), sia dell’alleviamento della propria nevrosi.
C’è poi nel libro una ulteriore vicenda sentimentale, forse del tutto sconosciuta in Italia: la relazione di Giovanni Amendola con la giornalista bulgara Nelia Pavlova (che, poco dopo la morte di lui, partorì un figlio nato da quell’amore). Locatelli nota che quella storia, vissuta dal Deputato negli ultimi anni di vita (allorché la moglie era nelle case di cura) fu tenuta nascosta per ovvi motivi fino alla morte di Giorgio Amendola.
E, nel narrarla, egli ci fornisce dettagli inediti sia circa la devozione e l’affetto che la donna nutrì per l’uomo politico soprattutto nelle ultime settimane di vita a Cannes, sia circa la brutale persecuzione che i fascisti le inflissero per quel legame che le doveva costare addirittura la repentina espulsione dal nostro Paese.
Di peculiare interesse, nel libro, è anche la narrazione del rapporto tra Giovanni Amendola e Sarno. Per grandi linee, Locatelli mutua quel rapporto dai documenti di archivio e dalla ricerca storica di svariati autori (in particolare dello studioso locale don Silvio Ruocco). Tuttavia il suo racconto ha un fascino particolare, una letteraria peculiarità che gli deriva proprio dalla scelta stilistica collegata alle nuove tendenze della scrittura storica contemporanea.
Tra i tanti, basti un esempio. Allorché deve raccontare il tentativo notturno di alcuni fascisti (assoldati dagli industriali sarnesi) di far sgombrare una fabbrica occupata dagli operai in sciopero a oltranza, Locatelli non si limita a narrare i fatti in maniera semplice e nuda (come nelle cronache e nei resoconti del tempo), ma li trasforma in una sequenza da suspence in cui, dall’ombra in cui erano appartati ad amoreggiare, un’operaia e un operaio scoprono gli squadristi armati e danno l’allarme, col conseguente fallimento del tentativo degli aggressori.
Nelle vicende raccontate da Locatelli (che, nella costruzione dei dialoghi, si rivela fine ed esperto psicologo) sono comprese anche le riflessioni dei personaggi, i loro umori, i loro segreti pensieri.
Nel libro rivivono il sentimento d’amore (quello, ad esempio, dell’umanista Mariano Orza per la bella Consuelo Abignente, per sposare la quale egli rinunciò alla vita sacerdotale), l’entusiasmo dei sarnesi e dei salernitani per il “Professore” Amendola, la discussione politica tra i “signori” del Circolo dell’Unione (i cui interessi passarono egoisticamente dall’amendolismo al fascismo), la vivacità popolare, la memoria della natura (descritta sempre come in una buona pittura).
Desta impressione, nel libro, soprattutto la rappresentazione della prima stagione della violenza fascista. Il clima greve di quella stagione vi è tratteggiato con pennellate e riflessioni amare in relazione sia alle angherie disumane subite dalle popolazioni di Sarno e della Campania, sia ai bestiali pestaggi di cui fu vittima lo stesso Amendola, a Roma e poi a Montecatini (dopo che i fascisti lo avevano addirittura cacciato e bandito da Sarno).
Anche quei fatti violenti il libro li restituisce con i moduli del “racconto”. Un racconto avvincente, ancorché molto amaro, in cui gli episodi narrati sono spesso rivissuti interiormente dai personaggi (è il caso del primogenito del Deputato, Giorgio, anche lui aggredito a scuola dagli squadristi). Induce oggi a riflettere con amarezza il “vedere”, tramite le pagine di Locatelli, le aggressioni proditorie e disumane che Giovanni Amendola – per diretto ordine di Mussolini – fu costretto a subire. E il dover riscontrare, con indignazione, che per quelle vili aggressioni Amendola dovette prematuramente morire in esilio.
Le pagine più toccanti del libro risultano forse quelle iniziali del Prologo. Dove, con umanità delicata e commossa, Locatelli descrive la sobria cerimonia di sepoltura del “grande Italiano”, nel cimitero francese di Cannes: “Lo abbiamo seppellito in una scatola di pelle dentro una scatola di legno di mogano. I becchini l’hanno ricoperta con rapide, esperte palate di terra. Non ci sono stati archi di fiori per segnare il cammino. C’era solo il convoglio funebre di un uomo assassinato…”.
( L’Avvenire dei Lavoratori, Zurigo, 9 aprile 2014 )
( Roma, 10 aprile 2014 )
VINCENZO CUTOLO