Ha scritto Lotman che la storia intellettuale dell’umanità può essere intesa come una lotta per la memoria.
Questo libro di Giuseppe Strianese è di preziosa lettura non solo per coloro che, fino agli inizi degli Anni ’90 del Novecento, vissero personalmente le varie attività culturali del cinema-teatro “Moderno” di Sarno, ma anche per coloro che – nati e cresciuti dopo quegli anni – ne potranno ricavare e apprezzare soltanto la memoria.
L’autore, figlio dell’ultimo proprietario di quella struttura, rievoca in ventitré capitoli la storia degli avvicendamenti culturali succedutisi a Sarno nel locale di proprietà paterna dagli inizi del Novecento in poi, riportando testimonianze e tracce che, senza questo libro, sarebbero certamente andate perdute.
Il “Moderno” funzionò prima come cinema (sostituendo nel nome il vecchio cinema “Edison” ed operando in tandem con il cinema “Augusteo” di corso Matteotti); poi, a partire dagli Anni Settanta, anche come teatro.
Dopo la scomparsa dell’ “Augusteo” (fatto morire per costruire, al suo posto, un edificio che oggi ospita la locale filiale del Monte dei Paschi di Siena), il Moderno rimase l’unica struttura in grado di offrire sia proiezioni cinematografiche che spettacoli di teatro.
Del “Moderno” Giuseppe Strianese racconta l’intera parabola, dagli anni in cui la sala si riempiva di spettatori per film di successo e spettacoli teatrali fino alla crisi degli ultimi anni e alla definitiva chiusura.
Egli rievoca le varie e composite scelte spettacolari, operate da suo padre anche in rapporto al mercato: i film degli alterni filoni (sentimentali, mitologici, western, western all’italiana, erotici, etc.) e gli spettacoli teatrali graditi alle masse popolari campane (varietà, sceneggiate, commedie di Eduardo De Filippo, etc.).
Con insolite capacità descrittive, egli tratteggia le figure di molti spettatori, ma soprattutto le figure di coloro che lavorarono nel locale come maschere, inservienti, custodi, operatori di macchina, bigliettai.
Colpiscono in particolare le note che Strianese esprime su suo padre, restituendo al lettore la figura a tutto tondo di un imprenditore generoso, civile, di buoni sentimenti e di ottime capacità, innamorato del suo lavoro tanto da investire, ad esempio, capitali ingenti per abbattere il vecchio locale e ricostruire (perfettamente adeguata agli standard del settore) la nuova sala cine-teatrale capace di ospitare fino a 650 posti.
Nel libro si riscontrano in modo chiaro, qua e là, episodi e momenti in cui il padre trasmette al figlio non solo i valori della buona educazione, dell’onestà e dell’etica, ma anche l’amore per il mondo del cinema.
Se ne può dedurre che forse oggi Giuseppe Strianese è un ottimo cinefilo grazie soprattutto all’educazione ricevuta dal padre.
Questo libro traccia in modo assai chiaro anche l’andamento dei gusti del pubblico circa gli spettacoli di cinema e di teatro. Prevale, al riguardo, una tendenza popolare volta al divertimento, alle emozioni primarie, al piacere “postprandiale”.
Solo a partire dagli Anni Settanta, ricorda l’autore del libro, il “Moderno” ospitò (soprattutto per il teatro) spettacoli più vicini alla dialettica di quegli anni, alla ricerca, alla sperimentazione e alle problematiche dell’attualità.
Strianese ricorda, ad esempio, la rappresentazione del “Marat-Sade” di Peter Weiss (spettacolo allestito in coproduzione dal Teatrogruppo di Salerno e dal Piccolo Teatro d’Arte di Sarno), in cui si scontravano l’individualismo di Sade e l’ansia rivoluzionaria di Marat, all’interno di un luogo di repressione-oppressione quale il manicomio: palese specchio spettacolare di quanto, in Italia e nel mondo, animava il dibattito politico e ideologico di quegli anni.
Egli rievoca anche le quattro stagioni della Rassegna Teatrale organizzata dall’Associazione “Proposte Ambientali”, con le rappresentazioni di spettacoli nazionali in cui recitavano attori e attrici tra i migliori del teatro italiano del tempo.
Personalmente ho presentato al teatro “Moderno”, prima col “Piccolo Teatro d’Arte” e poi con “La Voce Umana”, alcuni dei miei spettacoli: “Marat-Sade” di Peter Weiss, “Sarno opera prima” (documentario di Pericle Odierna con testo da me scritto e interpretato), “La tarantella di Masaniello” (poesie di Salvatore Di Giacomo e antiche musiche napoletane), “Andorra” di Max Frisch, “Frammenti popolari” (canti, fiabe, proverbi dell’area sarnese), “Scene da un’infanzia” (un mio testo inedito).
Credo che l’ultimo spettacolo teatrale al “Moderno” sia stato, nella primavera del 1990, proprio il mio “Scene da un’infanzia“, rappresentato dal “Gruppo La Voce Umana” per gli alunni e i docenti della scuola media “G. Ferraris” di Milano venuti, con me preside, in gita scolastica dalla Lombardia in Campania.
La parabola del “Moderno” si è conclusa nella prima metà dell’anno 1990. E’ forse opportuno, oggi, chiedersi se quella morte fosse in qualche modo evitabile.
Michele Strianese già da qualche anno era amaramente consapevole che la TV e le videocassette pirata stavano lentamente uccidendo il cinema in periferia, sottraendogli progressivamente il suo pubblico. Egli aveva dato in affitto il suo locale al Comune di Sarno, per tre giorni alla settimana, cercando in tal modo di evitarne (o almeno differirne) la fatale chiusura. Ma il Comune non onorò l’impegno di spesa e il proprietario del Moderno si vide costretto a chiudere quell’attività, che l’aveva impegnato per l’intera esistenza. Il locale fu diviso in due parti: un negozio, davanti; una palestra sportiva, dietro.
Penso che la morte del suo Moderno abbia prodotto, in Michele Strianese, lo stesso dolore cui lo costrinse la prematura morte del compianto suo giovanissimo figlio Angelo.
Ancora mi chiedo, a distanza di anni, perché il Comune e gli intellettuali di Sarno non siano riusciti, allora, ad evitare la morte del glorioso cinema-teatro “Moderno”.
Forse furono le circostanze a determinare l’epilogo: la restrizione della spesa pubblica aveva ridotto i trasferimenti finanziari Stato-Comuni; il sindaco D’Ambrosio aveva seri problemi con la sua DC (che addirittura non lo ricandidò alle elezioni amministrative del giugno 1990); scarse, se non inesistenti, furono le richieste di uso gratuito del Moderno da parte delle scuole locali per proiezioni, spettacoli, conferenze, dibattiti, riunioni, etc.
Forse in un contesto diverso si sarebbe potuto fare di più.
La verità è probabilmente nella natura di buona parte degli abitanti della nostra piccola città di provincia. Ricordo che, Delegato allo Spettacolo per volontà del sindaco D’Ambrosio, organizzai due Rassegne di Cinema (22 pellicole dell’ultimo festival di Venezia date in abbonamento per complessive 20.000 lire) e una Primavera di Teatro con spettacoli di qualificati gruppi regionali campani. Alla fine il bilancio complessivo risultò positivo: la gestione diretta aveva fatto guadagnare al Comune 500.000 lire. L’unica nota triste e amara fu che la maggior parte degli abbonati proveniva non da Sarno, ma dai paesi vicini.
Oggi, a distanza di ben 27 anni dalla morte del “Moderno”, Sarno non ha più un teatro (o, se si preferisce, non ha ancora un teatro).
Cosa dedurne? Che il teatro non sia nelle aspirazioni della società sarnese? Constato con amarezza che, negli Anni Settanta, eravamo in pochi ad andare a scuola e Sarno era animata da vitali fermenti di rinnovamento e di bisogni culturali.
Oggi nella cittadina sono moltissimi i laureati e moltissimi i diplomati. Ai nuovi giovani piace forse una città senza teatro e senza vitali stimoli culturali?
( Introduzione al libro, ed. Albatros, 2018)