Nella recente pubblicazione “Studi storici sarnesi. L’affermazione dei ‘civici’: il caso degli Hodierna” (curata da A. Franco, F. De Martino e A. Odierna) ho trovato di particolare interesse lo studio di Gaetana Mazza intitolato “Cultura scolastica e preminenza sociale: la vicenda del Conservatorio di S. Francesco Saverio”.
Esso mi ha colpito perché testimonia la coerenza e la serietà con cui la studiosa ci racconta le vicende cui da anni è rivolta la sua ricerca.
Nelle precedenti pubblicazioni, realizzate sempre mediante fonti primarie, ella aveva studiato e analizzato, in particolare, sia la condizione femminile sia lo stato delle classi subalterne, in un luogo del territorio meridionale emblema dell’intero Mezzogiorno d’Italia.
In “Streghe, guaritori e istigatori” e in “I processi inquisitoriali nella Diocesi di Sarno (1680-1759)” Mazza aveva, infatti, ricordato gli 83 processi inquisitoriali fondati sull’accusa, rivolta ad alcune donne da parte della Chiesa, di magia, blasfemia, stregoneria, abuso di cose sacramentali, apostasia, sortilegi d’amore, concubinato, induzione allo spergiuro, “sollecitatio ad turpia”.
E ne aveva analizzato gli interrogatori (imposti dagli inquisitori, con domande in latino e risposte in italiano), gettando nuova luce sul particolare rapporto tra mondo contadino e potere della Chiesa-Inquisizione.
Quei libri mostravano in particolare i metodi con cui, dopo il Concilio di Trento, la Chiesa era riuscita a esercitare un controllo capillare sul popolo dei fedeli (ricevendo anche lasciti e donazioni), e mediante i quali i contadini e le classi subalterne erano stati indotti a rinunciare a credenze, consuetudini e comportamenti da cui la loro vita era stata sempre segnata.
Nella pubblicazione “Tra storia e storie. Banditismo, brigantaggio e milizie civili nel Meridione d’Italia dal XVI al XIX secolo” Gaetana Mazza aveva, poi, messo bene in evidenza come il banditismo meridionale, dalla fine del XVI secolo fino al periodo successivo all’Unità d’Italia, fosse stato non solo un fenomeno prevalentemente contadino (determinato da ingiustizie sociali, vessazioni e sfruttamento), ma anche – e soprattutto – uno strumento “politico”, utilizzato dai poteri più disparati: feudatari e nobili del passato, clero e borbonici legittimisti, borghesia emergente, eccetera.
Il recente studio su “Cultura scolastica e preminenza sociale”, condotto nell’ambito della ricerca storica su cui verte il volume sulla famiglia Odierna, consente ora a Gaetana Mazza di riprendere ancora una volta il tema della condizione femminile e delle classi subalterne nella società sarnese-meridionale.
La studiosa ricorda che, fin dagli albori dell’Età Moderna, la famiglia Odierna si distinse in importanti ruoli professionali, ecclesiastici e pubblici, acquisendo addirittura – nel ramo napoletano – il titolo di “marchese” conferito a un suo membro dall’imperatore Carlo VI d’Asburgo.
Riferisce poi che uno dei maggiori meriti di quella famiglia fu l’istituzione del Monastero seu Conservatorio S. Francesco Saverio, realizzata nella proprietà di don Porziano Odierna, in piazza Croce a Sarno, da questo lasciata in eredità alla città per l’educazione religiosa delle fanciulle.
Ella ricorda anche che, dal Medioevo in poi, i nobili e i ricchi studiavano nei monasteri e nei conservatori (alcune famiglie optavano per il precettore “clericus” in casa) e che le materie di studio erano arti liberali, scolastica e teologia: latino, eloquenza, logica, metafisica, matematica, teologia morale e dommatica.
I poveri erano, invece, ospitati nelle scuole parrocchiali, per il catechismo e le prime nozioni di lettura e scrittura.
E’ interessante, nell’analisi storica di Gaetana Mazza, il racconto dell’istruzione delle fanciulle. Quelle aristocratiche potevano studiare (nei monasteri) latino, filosofia e matematica. Quelle “di civile condizione” ricevevano, invece, nei Conservatori, insegnamenti ricalcanti in scala minore le discipline dei monasteri.
Le regole dei monasteri-conservatori erano drastiche, anche per l’abbigliamento: le fanciulle dovevano, infatti, “vestire di colore scuro, modesto, senza scuffie, né altro ornamento di testa, né possono mai vestire di seta”; “che vestano del colore delle monache, senza scuffie e zagarelle, ma che portino in testa il velo nero”.
E’ davvero triste riscontrare come l’emancipazione femminile sia stata sempre osteggiata, dalle nostre parti.
Mazza ricorda anche che una aristocratica cattolica inglese, Maria Ward, istituì a Napoli nel 1623 una scuola per fanciulle, che tre anni dopo dovette però chiudere per volontà del cardinale Buoncompagni.
Dall’Età Moderna in poi, fino alla seconda guerra mondiale, le classi dirigenti hanno sempre limitato l’istruzione e l’emancipazione delle donne in Italia.
Basti pensare che, dei milioni di analfabeti lasciati in eredità dal fascismo alla Repubblica, la stragrande maggioranza era costituita da donne.
VINCENZO CUTOLO