Nel racconto “Vite parallele” di Emilio Daniele mi ha colpito subito il nome del protagonista Pietro Aretino. Nella storia della letteratura italiana quel nome ricorda uno scrittore famoso soprattutto per la sua licenziosità e il suo andare controcorrente. Mi auguro che il nome non sia stato suggerito all’autore dal gran parlare che in questi giorni si fa della “banca di Arezzo”!
Nel racconto l’omonimo di Aretino è un ultraottantenne gangster italo-americano, emigrato a 17 anni dal nostro territorio campano, tornato in Italia a metà degli anni Settanta (all’età di poco più di quarant’anni) per ammazzare suo cugino e, da quel giorno, marcito e morto in galera in regime di 41 bis.
Il racconto inanella figure e situazioni di una realtà senza luce, in cui campeggiano soprattutto corruzione, disonestà, favoritismi, mancanza di qualsivoglia speranza.
Aretino uccide il cugino (un 43enne già in pensione, graduato dell’Esercito nel quale era entrato grazie a corruzioni e raccomandazioni) non solo per “punire” una società inaccettabile, che anni prima aveva costretto suo zio a corrompere – con denaro e un maialino – la commissione chiamata ad ammettere il figlio nelle Forze Armate, ma anche per “giustiziare” simbolicamente una comunità nazionale i cui esponenti sono per lo più delinquenti che fanno immeritatamente carriera politica, diventano negative figure di potere, sono addirittura padri di professionisti incapaci e (ahimè!) corrotti come i loro genitori.
Dal racconto emerge una visione assai disperata della realtà. Il “giustiziere” è addirittura un ex gangster!
Spero vivamente che il giovane autore, cittadino sensibile, coraggioso e colto, possa ritrovare fiducia e speranza nelle persone con cui ci tocca convivere.
Oltre all’immoralità e alla disumanità di tanti personaggi squallidi, è possibile anche riscontrare – nelle nostre comunità, quella locale e quella nazionale – anche un’alta percentuale di figure perbene, affidabili e umane.
( Facebook, 2017 )
VINCENZO CUTOLO