Un “Canto I” e un “Canto II” aprono e chiudono questa prima raccolta di poesie di Elena Mancusi (Riverberi d’oro, ed. Palladio 1999, lire 15.000), prologo- epilogo del lungo “viaggio dentro la nostalgia” cui ella invita gli amici di “cuore puro”, prima che siano morte “le belle fole”. Sono stato compagno di Liceo di Elena Mancusi e di lei ricordo la sensibilità, la curiosità culturale, ma anche la interiore sofferenza dovuta alla crisi di coppia dei genitori e alla loro lunga separazione (cui seguì la riconciliazione che li portò a vivere ancora lontano, in Sardegna). Elena, o meglio Lella per gli intimi, visse a Sarno – in provincia di Salerno – infanzia, adolescenza e prima giovinezza, in casa della nonna paterna e poi della zia paterna Elena (di cui portava il nome e di cui costituì sempre la figlia naturale non partorita). Le poesie di questa raccolta contengono molti echi di quella prima stagione della sua vita. Tra le “nebbie del tempo” la Mancusi rivede gli anni di guerra: “Si rinnova l’orrore di sangue, di sprazzi / di luce, di schianti…” (Deserti perduti). Dai “silenzi” riceve “la memoria / di passi e ciarle lievi / di bambini” (Danzano le falene); ricerca le “radici perdute” (D’ogni confine); rivede la sua gente, i suoi “Sarrasti forti… le pietre calpestate a lunghi passi, / i marciapiedi, i bar” (Sarrastum sanguis); ricorda il “borgo dai vicoli ventosi” (Il mio paese), la “vita semplice dei puri” e la “zuppa di castagne” (La vita semplice). Della nonna risente, come ai tempi dell’infanzia, il profumo: “… un aroma leggero… / non so se fosse cipria / o il tuo respiro… “ (Nonna Maria). Ai genitori, morti anch’essi da anni, ella rivolge accenti quasi straziati.
A sua madre ella dice: “Madre, fu il pianto il nodo / che ci avvinse…” (Madre, fu il pianto…). E di suo padre ella evoca il ritorno e il fascino dei suoi “baffetti biondi”: “Eri tornato!… / io t’ascoltavo / frugando tra le rughe del tuo volto / frammenti d’immagini remote…” (Ritorno). Alla zia Elena sono, invece, rivolti i versi più toccanti: “… potessi ora entrare nel tuo grembo / con la mia croce addosso e sentire / il mio cuore battere col tuo / e, nascendo da te, chiamarti / finalmente / finalmente MAMMA” (Madre d’amore).
La Mancusi ricorda anche l’esperienza degli studi universitari a Napoli, interrotti per il matrimonio e la dedizione alla nuova famiglia: “… scugnizzi con la voglia / di volare / contrabbandano / i sogni con la vita, / sciuscià senza sorrisi…” (Spaccanapoli). Infine grida: “Giovinezza innocente,… / età molle e leggera / come piuma d’uccello / da quando sei fuggita?” (Sul poggio).
La natura
Il sentimento della vita e della natura pervade buona parte dei versi della Mancusi. La natura, infatti, si dispiega nella molteplicità dei suoi aspetti, si arricchisce sempre più di significati, di palpiti, di voci; le immagini, però, non rimangono fini a se stesse, ma diventano, per l’autrice, motivo di riflessione sul quotidiano e sulla vicenda esistenziale. Insomma, nonostante tutto, nei suoi versi c’è l’omaggio alla vita: “M’affascina la vita / e l’avventura astrale / dell’uomo nel Creato…” (Omaggio alla vita); “… ma i figli / diranno di noi / che pure fummo / nell’etere viventi” (E forse al cielo). Ci sono i fiori: “I gigli / sulla duna… / profumano d’altare / dentro l’aria / salata” (Giglio di mare); “… aspetto che il ciliegio, / a primavera… / schiuda al sole le gemme…” (La casa del cuore); “… e la rugiada / è specchio all’ape / nel calice del fiore” (Come le viole). C’è la primavera: “… qua e là frange e merletti / e isole di sole… io mi sento immortale / e cerco… / la tua mano” (Immortalità); “Fiore di primavera, / inebriami di te / mentr’io / ricucio trame…” (Fiore di primavera). C’è l’autunno: “… l’autunno s’aggira / tra i nidi deserti, / nel fumo odoroso / di stoppie” (D’autunno rivedo). C’è l’incanto delle ore del giorno e della notte: “Attendo sospesa, / respiro col tempo / che scava le ore / la muta quiete…” (Spunta la luna); “… forse / da sempre ho amato / del vespero / l’incanto sonnolento” (Crepuscolo): “… un soffio, una lieve ombra / ed è già notte fonda” (Il giorno muore). C’è la varia famiglia degli uccelli: “… sono saliti dal mare / i gabbiani” (Gabbiani); “… intrecciano una danza / a schiera / le cinciallegre in volo” (Temporale d’estate); “… e colombe tubanti negli anfratti / dolci suoni / a fondersi nell’aria” (Rinasceremo a questa vita). Ci sono il cielo e la luna: “È così vasto / il cielo / e immobile / e lontano / nell’ora del tramonto” (Tramonto); “… e come d’incanto / nel cerchio di cielo / che imbruna… / m’appare / uno spicchio di luna” (Spunta la luna). E c’è il silenzio della natura, ricco di mistero e di fascino: “… passi nel buio
/ rompono il silenzio dei miei strani / pensieri” (Passi nel buio); “… e nel silenzio / ascolto / i segreti sospiri / della notte” (Il giorno nuovo); “Nel silenzio s’accendono le voci / che di pietà e sgomento / agita la memoria” (Ho risalito il fiume).
In una delle più belle poesie della raccolta la purezza del cielo e del mare, il senso di assoluto e di libertà che il loro azzurro ispira, le fa cantare: “Dipingere d’azzurro / tutto quanto: / la terra, il sole, / gli uomini, / le case… / azzurro / il vuoto / di carezze negate, / azzurra / la marea / dei cattivi pensieri, / azzurro / lo strazio della vita” (Dipingere d’azzurro).
La solitudine
Ma la produzione lirica della Mancusi è soprattutto poesia del dolore, della solitudine ontologica. All’amato ella dice: “… la tua carezza timida… / mi difende / dalla solitudine” (Passi nel buio) oppure “… e non finiva mai / l’ansia vorace / di restare insieme. / Voglio che sia così anche stasera…” (Gli incanti delle lune). Ma poi ella avverte lo smarrimento, il grigiore dei giorni, il peso della vita: “Precipitato è il tempo / nel suo vuoto” (Sarrastum sanguis). Si ritrova vinta, prostrata dal dolore: “… e lecco le ferite / come animale offeso / ma mi struggo / del dolore / dei figli / che non posso lenire” (Così è la vita); “… tutto ciò che di me / in te s’annida / m’accora, / mio disperato / e disperante seme” (Cappuccetto rosso). Avverte il peso del tempo, l’allentarsi del volo: “Un cuore / invecchiato / per nulla, / che perde i battiti / come foglie / in quest’autunno / di vita” (Ascolta); “… schiudi, mio cuore, / al sole la corolla / e sogna e vivi ed ama… / prima che canti il gallo / e sarà l’ora” (Prima che il gallo canti); “Ora si spegne imprigionato il giorno / come fiore / che si richiude a sera” (Quando il piracanto). Sente di essere come al centro di una storia vuota; e grida: “… ora è solo rimorso / chissà, forse rimpianto / di cose taciute, / remote, / di morte speranze”
(Era la giovinezza). È smarrita, anima alla deriva: “Forse non sono / come vorrei…” (Speranza). E la deriva prende anche l’amato: “… andiamo / solitari e muti, / perduti / nei nostri pensieri” (Silenzio).
Nel dolore ontologico non c’è posto neppure per la fede. Rivolta a Dio, Mancusi infatti grida: “… sei l’immenso infinito dove scavo trincee / di sconcertanti silenzi… / ma non sei mio Padre / e non lo sei maistato” (Orfana).
Lo stile
La lingua delle liriche è elegante, colta. Mancusi predilige cadenze classiche, latineggianti. Diffuso è l’uso del genitivo anteposto al soggetto o al complemento diretto:“… di speranze vuota la coppa” (Amore è lunga l’attesa); “… del vespero / l’incanto sonnolento” (Crepuscolo); “… di fresche ragazze / i seni gonfi” (Sarrastum sanguis). I versi sono liberi, ma ricchi di assonanze, di rime. Mancusi fa grande uso della metafora, della similitudine, di altre figure retoriche ed utilizza anche un particolare chiasmo, di pregnante bellezza: “Un odorebuono / mi rimase di te, / di me, non so / che cosa ti portasti” (L’addio); “Quante pene al tuo tempo / e quante al mio / tenerezze negate” (Fragile maternità). Il ritmo generale delle liriche è venato di armonie. Nel comporre i suoi versi, essenzialmente musicali, ella si lascia guidare, oltre che dall’emozione, dal suono delle parole: “… note che scivolano / lungoil pentagramma / a comporre la musica / del cuore / il canto che dall’anima / si scioglie in gioia e pianto “ (Poesia).
Il ritmo, però, appare talvolta come spezzato, stridente. È l’effetto della visione estetica dell’autrice: “Nasci prima nel cuore / poesia, / poi t’innalzi su, su / fino alla mente che macina / il pensiero…” (Poesia). Come la gioia e il pianto, così i versi della Mancusi sono perciò spezzati, franti, quasi grido di una sofferta speranza: “… e attendo / una grande magia / che mi aiuti / ad amare di nuovo / la vita” (Speranza).
( Introduzione al libro, Edizioni Palladio, aprile 1999 )
VINCENZO CUTOLO