Già dalla copertina, Rossa Malupina di Corrado Ruggiero (ed. Deleyva, 2005, prefazione di Cesare Segre) reca il simbolo del linguaggio con cui l’autore rappresenterà la Nocera della sua “età verginale”: l’immagine di un corpo rosso, realizzato da Mariella Tabacco e rievocante la pittura di Francis Bacon, figura umana dai contorni classici ma carne e sangue, orrida linfa di inquietante bellezza.
La lingua di questo libro è un crogiòlo di linee espressionistiche, ricchezza di registri, libertà associative, affinità di gusto con i grandi scrittori (con espressioni latine sparse come piccole perle fra le parole).
La narrazione offre esempi della “erlebte Rede” di Verga (in cui i fatti sono come narrati da un popolo, non dall’autore), del racconto classico in terza persona, del monologo lirico come in Svevo e Joyce, delle riflessioni espresse post mortem come nelle poesie di Lee Masters. In Ruggiero l’Italiano letterario ha armonie di serena bellezza. Un esempio: “Con montagne da una parte montagne dall’altra e aperta verso la pianura e il mare per il resto, Nocera è umida e non era caso che le strade, al mattino, fossero bagnate proprio come se avesse piovuto. Tanta era l’acqua di cui il
cielo, dormendo, si liberava. Era un umido che metteva l’assedio alle ossa da ogni lato, inzuppava i muri delle case, si mescolava perfino alle lenzuola e ti faceva trovare il letto che sembrava bagnato quando ti ci andavi a infilare”.
Oppure: “Mi tirava a sé quella macchia gialla. In uno scenario grigio, il grigio intenso scuro dei basoli di pietra del Vesuvio, quel giallo fiore giallo giallo delle ginestre che andava sopra e sotto – ginestre che oscillavano al vento. Inquiete irrequiete come le onde del mare, come la vita”. Ma la lingua del libro è anche invenzione, ricerca, adeguamento espressivo. Ruggiero fa parlare le sue figure in un Italiano che dal dialetto “nucerinese” mutua lessico e modi di dire, suoni, impianto sintattico, perifrasi, con risultati icastici vibranti.
Si vedano alcuni esempi: “se ne stava spaparanzato come un Cristo in croce”; “don Ciccio aveva levato pure a lei un pesaturo dallo stomaco”; “bisognava discutere il perché, il come e il quando della disgrazia fresca fescaccaduta”; “come se l’avesse fatto apposta, quest’ultima schiattiglia”; “Assuntinella Pilarossa non gli aveva mai fatto guardare neppure di smerza niente di niente”; “mormoravano malignose anche le bizzoche che non mancavano mai al vespertino rosario”; “l’Avvocato frescofresco muortacciso là in terra”; “Consiglia camminò con due piedi in una scarpa sola”; “muortacciso come a un cane”; “Capajanca parlava isso sulo. Rosecava”; “si era vestito da scemo e faceva il fesso per non andare alla guerra”; “oggi, pure le pulci tengono la tosse”; “bisognava farsi una bella scarpesiata per arrampicarcisi”; “piangere per sciogliere il riccio del cuore a chi doveva avere pena”; “mancavano sempre diciannove soldi per mettere insieme la lira”; “passavano le serate a fare i conti e i contraconti delle corna di tutti quanti”; “prendere uno
sciuliamazzo per la liscivia che scorreva notte e giorno in mezzo ai basoli”; “camminavamo svelte svelte sottosotto il muro”.
La trama del libro nasce dall’uccisione di un avvocato, già podestà fascista di Nocera, ad opera di un fruttivendolo appena uscito dal carcere (dove ha scontato molti anni per uxoricidio, a suo avviso per colpa dell’avvocato patrocinante che nel processo non aveva invocato, per lui, i motivi d’onore: di qui la vendetta).
Alle vicende del penalista ucciso e del fruttivendolo si affiancano le vite di personaggi di vari strati sociali di Nocera, dagli anni della guerra d’Etiopia fino all’arrivo degli Americani e all’eruzione del Vesuvio del 1944. La figura cui Ruggiero dedica maggiore attenzione è l’adolescente Assuntina, Rossa Malupina, per la quale egli vive i primi turbamenti della pubertà e della quale, in un bel passo del libro, così tratteggia il cambiamento da bambina a donna: “I lineamenti del viso, le guance specialmente, sfinarono quello che ancora rimaneva del profilo paffuto di bambina cresciuta in fretta. Le labbra si arcuarono in una doppia onda appena leggibile. La farfalla che si era appena intravista – la stagione, due stagioni, forse tre stagioni passate – uscire dalla scorza nera del cappottuccio, i capelli esplodere dallo zucchetto di lanaccia nera in un cespuglio di ginestre, quella farfalla non era più, ora, in difetto ma si stava espandendo se non si era tutt’espansa. Ali larghe e coloratissime, l’iride da iride delle farfalle tropicali”.
Nella nota finale l’autore avverte che “le persone, i luoghi, gli eventi narrati sono frutto di fantasia”. Ma nell’ultima pagina dell’opera egli descrive i sopravvissuti alla guerra e all’eruzione del Vesuvio come figure smarrite, esseri sospettosi che “loro stessi che erano vivi, che sembravano vivi, erano forse morti da qualche parte e ora stavano lì mentre qualcuno, altrove, li cercava”. Il qualcuno che li cercava è l’autore. Oggi che ha settant’anni, Ruggiero ricerca ancora le figure lontane della sua età verginale (se ne trovano tracce anche in altre sue opere, Ballata nucerinese e Nuova Nocera York, edite da Oèdipus), come “luoghi unici” pavesiani, miti, simboli dell’umana vicenda in cui sentimenti e valori ci accomunano tutti.
( Eventi, marzo 2006 )
VINCENZO CUTOLO