Leggere le seicento pagine di questo bel libro di Claudio Martelli (Ricordati di vivere, Bompiani, settembre 2013), che egli sta presentando da mesi in città grandi e piccole, significa ripercorrere oltre trent’anni della recente storia d’Italia, dagli anni Sessanta fino agli inizi degli anni Novanta del Novecento. Sono gli anni dell’ascesa e della caduta del più antico partito d’Italia, il PSI (di cui Martelli, dopo Craxi, fu il principale esponente).
Martelli rievoca quegli anni intrecciando storia personale e storia del nostro Paese con una prosa avvincente, chiara, preziosa, talvolta perfino lirica. E comincia dagli anni liceali, segnati dalle sue simpatie laiche per il PRI di La Malfa e da scelte culturali diverse da quelle prevalenti nella sua Milano del tempo (tra i cui giovani si affermavano – spesso con i metodi della violenza – il Movimento studentesco, il marxismo “rivoluzionario” ed estremisti quali Spada, Capanna e Pero). Studente di Filosofia influenzato dal socialismo liberale di Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini, Martelli coltivò sempre il sogno – già in quegli anni segnati da pulsioni reazionarie e violenze pre-brigatiste – dell’unità delle Sinistre e dei laici.
Contestò il Sessantotto, ma apprezzò la Primavera di Praga. E aderì con convinzione al PSI di Pietro Nenni e di Craxi. Del PSI craxiano Martelli tratteggia analiticamente ogni fase, sia dell’ascesa gloriosa sia della rovinosa caduta, illuminando – nella rievocazione della parabola – anni di storia italianadi significativa importanza. Martelli dà grande rilievo, nel racconto, al percorso che portò Craxi alla Segreteria del PSI: dal congresso di Genova del 1974 (con l’avvento di De Martino al posto di Mancini alla Segreteria del partito), alla sconfitta alle elezioni politiche (dovuta alla proposta di De Martino di “equilibri più avanzati” per una auspicata fase di governo con il PCI), fino alla messa in minoranza di De Martino al congresso del Midas (ad opera della triade di giovani Manca, Craxi e Signorile).
Divenuto Segretario unico, Craxi puntò subito alla riorganizzazione del partitoe alla sfida col PCI per un riequilibrio dei consensi a sinistra. Alla teoria del marxismo rivoluzionario egli contrappose quella riformista di Pierre Joseph Proudhon. Si batté per una riforma della Rai che la svincolasse dal riduttivo impiego di “minculpop dei partiti e fabbrica commerciale di intrattenimento”. Scelse, subito dopo il rapimento di Moro, la linea umanitaria e la trattativa con le BR (a differenza delle chiusure di DC e PCI, che finirono per determinare l’uccisione dello statista). Avviò una politica di modernizzazione del Paese, prestando grande attenzione alle istanze sociali laiche e libertarie. Martelli contribuì da protagonista, anche lui, alla nuova stagione del PSI, con proposte innovative di elevato spessore (per tutte, valgano quelle “sui meriti e sui bisogni”, da lui illustrate alla Conferenza di Rimini del 1982). Grazie alla forte iniziativa politica, il PSI riuscì a conquistare la Presidenza del Consiglio, con Craxi, e la Presidenza della Repubblica, con Sandro Pertini.
Del Governo Craxi Martelli ricorda risultati e successi (fra gli altri: la ripresa economica, il miglioramento del Pil, l’episodio di Sigonella, il congelamento di tre punti della scala mobile). E ampie pagine dedica anche agli scontri che il PSI, per consolidare e ampliare il suo spazio, intraprese con il PCI di Berlinguer e la DC di De Mita (l’uomo del patto istituzionale con il PCI).
Belle pagine Martelli dedica, poi, sia alla sua amicizia con Giovanni Falcone (ucciso dalla mafia quando egli era Ministro della Giustizia), sia alla sua legge organica sull’immigrazione e agli interventi legislativi per la lotta a Cosa Nostra e alla delinquenza. Interessanti sono anche le sue rievocazioni delle due circostanze che ne appannarono l’immagine di buon politico: il falso arresto per droga a Malindi; e il rinvio a giudizio per il “conto svizzero protezione”.
Sulla prima Martelli chiarisce che fu un infame faccendiere somalo a propagare la falsa notizia del suo arresto per droga (la notizia fu strumentalmente ripresa, e amplificata, dai giornali del Gruppo Editoriale L’Espresso, cui poi seguirono pubbliche scuse da parte del Direttore di «la Repubblica» Scalfari). Sulla seconda (che determinò le sue dimissioni da Ministro e una condanna successivamente prescritta) Martelli chiarisce che a “incastrarlo” dolosamente fu il famigerato capo della P2 Licio Gelli, il quale riferì ai magistrati di aver avuto personalmente da lui un biglietto contenente il numero del “conto svizzero protezione”.
In realtà, sottolinea Martelli, quel conto non era suo (come formalmente testimoniò la banca svizzera UBS) e il biglietto consegnato ai magistrati da Gelli non era stato scritto da lui (come fu poi dai periti accertato). Gelli, ancorché querelato, continuò ad accusare Martelli, il quale fu dichiarato corresponsabile della bancarotta del Banco Ambrosiano (dal quale provenivano i soldi del “conto svizzero protezione”). Nonostante l’Ufficio Istruzione di Roma avesse stabilito che Gelli lo aveva diffamato infondatamente, la Procura di Milano accusò Martelli di peculato e lo condannò a otto anni e mezzo (pena poi ridotta a quattro anni in appello; e, successivamente, coperta da due amnistie). Coi suoi risparmi, e con l’aiuto dei familiari, Martelli risarcì pro quota i piccoli risparmiatori dell’Ambrosiano (giacché il finanziamento illecito dell’istituto era comunque andato al PSI, quando egli ne ricopriva la carica di Vicesegretario). Egli però produsse ricorso contro quella sentenza; e la Cassazione gli diede ragione. I giudici di Milano rifecero, quindi, il processo e, alla fine, dopo ventun anni dal primo avviso di garanzia, nel 2002 la Cassazione decretò finalmente la prescrizione (“un giorno prima – annota Martelli – che le carte non potessero più essere toccate; un caso raro, nella pur copiosa antologia italiana di misfatti giudiziari”).
Di grande intensità, nel libro, sono anche le pagine che rievocano i suicidi di Gardini, Cagliari, Moroni e altri, nei giorni tragici di Mani Pulite. E commosso e umano è anche il ricordo dell’assassinio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Ho tuttavia trovato di più pregnante interesse soprattutto le pagine che Martelli dedica al suo rapporto con Craxi nella fase calante della parabola del PSI. A distanza di anni, Martelli ricorda come i suoi rapporti con Craxi fossero non più ispirati – alla fine – alla precedente, antica amicizia. Craxi era molto geloso e non volle condividere le idee innovative del suo delfino. Soprattutto (dopo la caduta del muro di Berlino e la trasformazione del PCI in PDS) egli non volle condividere la proposta di Martelli di operare una radicale svolta nella politica del PSI: il superamento della tradizionale alleanza con la DC e l’avvio di una unità a sinistra che vedesse i socialisti al fianco del partito di Occhetto, nel “passaggio del guado” e nell’ingresso nella comune famiglia del socialismo europeo. Craxi preferì rinnovare l’alleanza con la DC; e riprendere la lotta contro i tradizionali avversari ex comunisti.
Quella scelta – ricorda Martelli – , aggiunta all’azione spietata della magistratura milanese, accelerò indubbiamente l’ingloriosa fine politica sua e del PSI.
Le divergenze tra Craxi e Martelli riguardarono anche l’organizzazione. Per moralizzare il partito (e porre fine al mercato delle tessere e al clientelismo interno), Martelli aveva proposto che le iscrizioni avvenissero per posta, mediante lettera firmata personalmente dai richiedenti. E l’innovazione ottenne l’adesione unanime di tutti i Segretari delle Federazioni. Ma Craxi non la portò alla discussione della Direzione Nazionale (per “non scoperchiare – egli disse – la pentola del partito”!). Martelli conserva, in ogni caso, un positivo ricordo del suo antico compagno. Dice infatti: “Quel che Craxi ha fatto, quel che abbiamo fatto insieme e con tanti altri compagni, merita ancora di essere studiato, discusso, compreso. È una storia importante, forte”. E di Craxi e della parabola socialista (politica e storica) egli annota sia le luci che le ombre. Tra le luci, egli elenca la rinascita del PSI, il perseguimento di un riformismo moderno, la contestazione del comunismo italiano (prima sovietico e poi compromissorio), la prova di governo e di orgoglio nazionale, le battaglie per i diritti umani e l’indipendenza dei popoli. Tra gli errori, il non aver capito che il crollo dei muri del comunismo rendeva obsoleto anche l’anticomunismo craxiano.
Martelli alla fine si chiede quale bilancio oggi sia possibile fare, dopo la distruzione (da parte del pool Mani Pulite) di un intero sistema politico e dopo che – a venti anni da quella stagione – la corruzione in Italia è più diffusa di prima. In risposta, Martelli riporta la confessione di Francesco Saverio Borrelli (il procuratore capo di Milano di quei tragici anni), il quale ha dichiarato recentemente: “Chiedo scusa per il disastro seguito a Mani Pulite. Non valeva la pena di buttare il mondo precedente per cadere in quello attuale”.
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Il libro di Martelli contiene anche toccanti capitoli riguardanti la sua sfera privata, affettiva. In essi si leggono pagine assai belle sulle donne della sua vita: Daniela, la prima moglie sedicenne (sposata quando egli aveva venti anni e da cui presto si separò); Annarosa, amata malgrado l’avversione dei genitori di lei, sposata a Milano nel 1972 (e da cui si separò nel 1980, per il suo “impegno totale” nella politica); Ludovica, dal cui grembo uscì il figlio Adriano “come un nuotatore dall’onda”; Rosi, incontrata nel 1987 a Roma e con la quale convive tuttora. Belle sono anche le pagine in cui Martelli parla dei cinque figli. Più delicata fra tutte ho trovato la rievocazione di un giorno di grande spavento, da lui vissuto allorché il primogenito Giacomo si allontanò da casa segretamente.
Il ragazzo alla fine ritornò (era stato a Londra da un’amichetta), ma nell’attesa Martelli dovette adoperarsi intensamente per placare l’angoscia della moglie Annarosa, ormai sull’orlo di una crisi di nervi. Ricordando e rivedendo la propria vita, Martelli confessa di aver subìto, in quei momenti di grande tensione, “l’assedio dei sensi di colpa, la vergogna delle assenze” (e il pensiero anche delle “poche vacanze” trascorse insieme col figlio, il suo “risveglio di primavera… ”).
Sono stato anch’io socialista, come tanti, in quei lontani anni. Ammirai e seguii Martelli per l’intero corso della parabola del PSI. Oggi il suo onesto libro ridà luce e valore a una bella stagione della mia vita, la cui memoria mi pare degna di non andare perduta. Anche per questo sono grato a Martelli e all’esortazione goethiana del suo avvincente e prezioso libro.
(Ulisse cronache, anno I, n. 12, 23 novembre 2014 )
VINCENZO CUTOLO