A Milano il 7 dicembre ho assistito alla prima di “Attila” di Giuseppe Verdi, eseguita con la direzione di Riccardo Chailly.
Ho potuto farlo gratis, in uno dei tanti cinematografi impegnati dal Comune (prima dall’Amministrazione Pisapia, poi dalla Giunta Sala, entrambe di centro-sinistra) per consentire a migliaia di cittadini di godere democraticamente di un grande evento culturale, tradizionalmente caratterizzato da settarie ed esclusive ritualità alto-borghesi.
La sera del 6 dicembre, allo “Spazio Teatro No’hma Teresa Pomodoro”, ho anche ascoltato in anteprima la dotta introduzione all’opera, tenuta dal maestro Stefano Jacini, durante la quale sono state proiettate alcune scene degli allestimenti passati (magistrale quello diretto da Riccardo Muti).
Immergersi nella sublime musica di Verdi è sempre un’esperienza di elevazione dell’anima. Si rimane rapiti dalla potenza delle sue arie, dal clima celestiale delle note, dal fascino peculiare del canto.
Mi ha colpito, nella scenografia dell’opera, la scelta del regista Livermore di far indossare agli attori non costumi di epoca medioevale, ma abiti del XX secolo rievocanti i regimi totalitari. Il Novecento di “Attila” è tuttavia distopico, fatto di allusioni e raffinati rimandi.
I temi verdiani di “Attila” sono quelli universali dell’arte e della letteratura: amore, sofferenza, ideali, speranze, vendetta, morte. In evidenza amara, tra questi temi, Verdi ha posto anche quello (molto italiano) del “particulare”, della “spartizione politica”, utilizzando – per rappresentarlo – il generale romano Ezio, impegnato a fermare coi suoi soldati le barbariche e sanguinarie orde degli Unni.
Ezio propone un patto scellerato all’invasore Attila: “ Avrai tu l’universo, resti l’Italia a me!”. E tale corruttrice proposta fa subito pensare alla prassi, tanto diffusa anche nell’Italia di oggi, degli ignobili “scambi”, dei perniciosi baratti (“tu dai una cosa a me; io do una cosa a te!”).
Attila rifiuta sdegnosamente lo scellerato patto propostogli dal generale romano. Diventando, per questo, non più il barbaro sanguinario consegnatoci dalla tradizione storica, ma un uomo positivo, un proficuo latore di valori morali.
Il che fa dell’Attila verdiano un personaggio “civile”, un simbolo di pedagogia costruttiva e feconda.
(Facebook, dicembre 2018)