I “magnifici tre” dell’Università di Salerno hanno presentato nel salone della Provincia Il mare di Leucosia di Antonio Petillo, edito da Galzerano.
Alberto Granese ha messo in evidenza, del libro, il passaggio dal piano autobiografico a quello romanzesco (Berto e Maria e non l’autore e sua moglie Emilia; Leucosia e non Acciaroli; etc.) e l’atmosfera acquorea, vitrea, dove l’acqua diviene elemento semantico e assiale, specie nella prima parte. La maturazione del protagonista – ha detto ancora Granese – , la coscienza della vacuità del fascismo (acquisita all’interno della popolazione meridionale “occupata”) e il passaggio all’impegno politico socialista sono fasi tutte riconducibili a un comune elemento salvifico: Maria (la cui figura rimanda allo stilnovo, al petrarchismo e a certa poesia di Montale, per il suo guidare l’uomo all’amore e alla presa di coscienza liberatoria).
Sebastiano Martelli ha sottolineato che nel paesaggio si riscontra, puntuale, lo stato d’animo dei personaggi. Il che pone Petillo nel filone lirico del Anche questo articolo commentava le interviste rilasciatemi sia dai suoceri e dalla cognata di Giuseppe Rende, sia da Claudio Palumbo (integralmente riportate nella pagina di Storie di emigrazione). romanzo. Anzi, il confronto tra stato d’animo dei protagonisti e paesaggio è l’elemento strutturale maggiore del libro: elemento generazionale, del cui flusso oggi non ci sono più tracce. Nel libro di Petillo – ha ancora detto Martelli – c’è anche la testimonianza di quella emarginazione del Mezzogiorno (decisa tra il 1943 e il 1949 e ben indicata da Levi nell’Orologio), che vide tagliata fuori una intera generazione che chiedeva di più.
Infine Luigi Reina ha definito il protagonista del libro un “artista da giovane”. Un artista le cui tensioni sono il giornalismo, il cinema, la letteratura. Il romanzo di Petillo non ha nulla di diaristico, ma tende alla Grande Utopia, alla Grande Certezza. Se esso ha un limite – ha concluso Reina – questo è lo straripante lirismo, la tendenza all’espressione poetica (fatta di piani effusivi, elegiaci; di evocazioni nostalgiche che ricordano Proust o l’ultimo Rea. Tuttavia Petillo, come nelle biografie, ha saputo proporre un personaggio a tutto tondo evitando i “caratteri” e il tradizionale intreccio da “fabula” aristotelica).
Enzo Todaro mi ha rivelato che Petillo lo ha piacevolmente sorpreso. Io invece confesso che attendevo da tempo Il mare di Leucosia (pur non sapendo che fosse nel cassetto da anni). Conoscevo di Petillo la bravura giornalistica (è stato mio Direttore al «Corriere del Salernitano»), la passione politica, la “grinta” fatta di esplosioni umorali ma anche di umanità sensibilissima.
Oggi il libro mi testimonia le sue ulteriori “capacità”. Quelle, ad esempio, di autore di cinema. Il romanzo è ricco di momenti tipici del cinematografo, di “sequenze” tagliate e montate come in un film: si vedano le descrizioni di Napoli (per le quali si pensa a Eduardo, ma anche a Liliana Cavani), della guerra e della sua avvilente deriva, di Leucosia “perduta sulla costa”, della Lucania.
Le stesse similitudini sanno di cinema. I paesi della costa che si aprono al vento “come il cuore delle fanciulle al primo amore”; le arricciate di spuma bianca “come merletti”; il mare di ottobre immobile “come un ultimo dono”; la pioggia che scende “come un pianto” o “come filamenti lunghi di ragno”; gli occhi di Maria risplendenti “come pozze di acqua chiara nell’erba”; le colline lucane “dolci come seni di donne”; la morte che alita “come pipistrello dalle membrane pelose”; gli aerei come becchi ed artigli di “falchi predatori”; l’amore fiorito verso il cielo “come l’ombrella larga di una conifera”; i gabbiani bassi sull’acqua “come tagli acuti di coltelli in una stoffa di raso”; Maria languida e innamorata “come un fiore bianco sotto la carezza del sole”; l’amore tormentato “come legna secca sul fuoco”; la vita “sugosa come una pesca”; Leucosia “come una collana abbandonata sulla spiaggia in una notte di luna”.
Si pensa al film la La madre di Pudovkin e alla gioia della prigioniera descritta con le immagini di un ruscello primaverile, di uccelli diguazzanti nello stagno, di un bimbo ridente. Oppure allo stormo di uccelli che si levano in volo in un film di Sternberg per rendere il senso di un colpo di rivoltella.
Oppure ancora a certi accostamenti dei film di Room o di altri maestri, che Petillo certamente conobbe negli anni della sua “Bildung” giovanile, segnata non marginalmente dall’interesse per l’arte del cinema. Non è improbabile che del libro si interessi qualche intelligente uomo di cinema. Sarebbe giusto e gratificante non solo per Petillo, ma anche per la tenacia del suo coraggioso editore.
( InComune, ottobre 1985 )
VINCENZO CUTOLO