Paola Bonadies
Paola Bonadies,
COLORI AL ROVESCIO
“Colori al rovescio” della giovane scrittrice Paola Bonadies (presentato l’altra sera a Salerno da Francesco G. Forte, Elena Petrizzi, Massimo Bignardi e Attilio Bonadies) è un libro bellissimo.
Danno forma al volume una Introduzione onirica e dodici intensi racconti, “illuminazioni” ispirate ad altrettanti colori: Bianco, Grigio, Nero, Rosso, Arancione, Giallo, Azzurro, Verde, Blu, Viola, Lilla, Rosa.
L’Introduzione narra la perdita dei sensi di chi racconta, prodotta dalla visione splendente della Bellezza (come nella sindrome di Stendhal): “un angelo, o forse la stella polare, o forse l’intero universo”.
“Bianco” rievoca i gelsomini, un cui venditore si dà fuoco iniziando l’omonima rivoluzione di Tunisia.
“Grigio” è, invece, l’antro della caverna di Medusa, dove la narratrice vive una vita mitica ed onirica.
“Nero” rievoca il suicidio di un giovane.
“Rosso” dà colore alle fiamme: di un foglio andato a fuoco in mani femminili.
“Arancione” traccia le sfumature di una coppa raffigurante il volto di Medusa.
“Giallo” sono le dune del deserto, dove un essere umano sfugge alla sua follia grazie all’incontro con un uomo ignoto (che gli dona la pace col nemico).
“Azzurro” è il colore di Cnosso, di Creta, dove i sette fanciulli e le sette fanciulle destinati al Minotauro iniziano la “marcia macabra”.
“Verde” è il colore dell’anima, che rifiuta l’orrore del cemento dei casermoni di periferia.
“Blu” è il colore proprio del mare, dell’Oceano, da cui traggono vita i pescatori e che reca purtroppo anche violenza e morte (da cui si viene fuori con la speranza).
“Viola” è l’omonimo fiore, la delicata storia di una ragazza “tutta persa, nel cercarsi senza trovarsi”: l’immaginario di una schizofrenia.
“Lilla” è “fanciulla Lella”, invitata in poesia a “ritornare donna”, a non aver timore di sognare, a respingere i dèmoni (anche “Lilla” è un’esortazione, un auspicio, indirizzati dalla scrittrice a sé, a rendere sereni i propri turbamenti).
“Rosa” è, infine, la scrittrice medesima, che ritrova nel sogno la Bellezza, i colori di una vita serena.
Fu Arthur Rimbaud, per la scrittura, ad usare i colori. In “Una stagione all’inferno” egli confessa di aver inventato il colore alle vocali: “A nero, E bianco, I rosso, O azzurro, U verde … Scrivevo notti, silenzi, notavo l’inesprimibile. Fermavo vertigini”.
Evocando, poi, i “luoghi immaginari” di Baudelaire, Rimbaud li definì “fonti di fuoco dove mari e favole s’incontrano, dove gli angeli sono segni lampeggianti”.
Come Rimbaud in “Le bateau ivre”, anche Paola Bonadies in “Colori al rovescio” esprime la libertà di una persona naufraga, solitaria. Ella è una scrittrice dotata di grande cultura, i cui racconti rivelano echi di mondi letterari illimitati: da quelli della Grecia del mito, all’Oriente, all’Egitto, alla storia del nostro tempo.
La sua vibrante scrittura, poetica ed onirica, scopre limiti sconfinati, scava in profondità, deforma la realtà, si distacca dal mondo, fino a giungere al naufragio dell’anima.
La prosa lirica di Bonadies è una “vera magia”, una “pittura”: che riproduce non semplici oggetti, ma suscita emozioni, contorni, colori, linee.
“Colori al rovescio” testimonia una sofferenza, un interiore disagio, derivante dal contatto difficile con la realtà. L’autrice per questo si distacca dal mondo, costruendo e cercando luoghi di Bellezza, ricercando l’ignoto, l’Armonia, l’Utopia.
Il mito di Medusa è, in lei, il desiderio inconscio di pietrificare il mondo o di osservarlo dal tripode. Il suicidio di “Nero” è il timore angoscioso del “vizio assurdo” di Cesare Pavese. Il deserto e l’arsura sono simbolo di una solitudine disperata. Il Minotauro del mito è deformato dalla speranza di vita di uno dei fanciulli destinati al martirio.
Inoltre le letture di Shakespeare, Borges, Calvino, Di Giacomo sono la via di fuga, per la scrittrice, da realtà urbane di bruttezza squallida. “Blu” le consente, poi, di immaginare “l’isola di End”, “dove ogni cosa splendeva, … musica, … melodia primordiale”.
La Sophia schizofrenica di “Viola” adombra, invece, la sensazione “di essere implosa, proprio come le stelle che diventano buchi neri … o anche la sensazione di essere caduta dentro un pozzo e di non riuscire a uscirne”.
E’ quasi come se la sofferenza privasse la scrittrice della sua ombra (come Peter Schlemil di Chamisso); come se una “regina degli sprecchi” le avesse rubato l’ombra.
Nell’ultimo racconto, “Rosa”, la Bonadies ricorda i bei versi di Alfonso Gatto (“La rosa se l’azzurro la colora / di sé rossa nel verde alza la rosa / rosa di macchia fulgida la rosa / rossa d’azzurro, viola d’acqua nera”) e li definisce “un inno colorato al cuore”.
Dormendo con quei versi (e quella rosa) dentro la testa, ella sogna di nuovo “il giovane dolcissimo e bellissimo”, che dice di aspettarla chiamandola Rosa. Allora ella si sveglia e ritrova se stessa, grazie a “poesia, amore, fede, identità”.
VINCENZO CUTOLO