Pina Esposito
Di Pina Esposito avevo già letto “Il silenzio delle madri” (Oedipus, 2015).
Quel romanzo narrava, con delicato affetto, l’esistenza di due coppie di coniugi, i genitori e i suoceri della scrittrice, rendendola metafora di una intensa e paradigmatica vicenda umana. L’intreccio del romanzo rimandava, per molti aspetti, ai quattro personaggi protagonisti di “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera, per la scelta della scrittrice di ripercorrere affetti, sofferenze, gioie, angosce di personaggi metafora anche loro di una umanità posta di fronte ai balzi della vita, alle svolte inattese, al mistero, alle emozioni profonde.
“La verità sepolta”, il nuovo romanzo di Pina Esposito (pubblicato anch’esso da Oedipus), getta ora luce densa non più su un gruppo di personaggi e sul loro intreccio di vita, ma illumina la peculiare vicenda di una giovane donna assassinata, che addirittura vede e racconta – dal mondo della morte – l’intrico e l’evoluzione della traumatica fine della sua vita.
La storia della letteratura è ricca di personaggi che parlano dall’oltretomba.
Nelle opere maggiori del mondo classico, ad esempio, l’oltretomba era il luogo dove i vivi potevano conoscere il “fato”, il destino (si pensi a Odisseo, cui l’ombra di Tiresia anticipò il futuro; o ad Anchise che, anche lui nell’Ade, predisse al figlio Enea il destino futuro).
L’oltretomba del mondo classico era anche il luogo in cui i morti trasmettevano ai vivi la conoscenza: la conoscenza che vince sulla morte (come si può dedurre dagli accorati versi indirizzati a Enea dalla virgiliana Didone).
Fu l’avvento del cristianesimo a produrre un oltretomba nuovo, tripartito (inferno, purgatorio, paradiso). Un oltretomba abitato da angeli e diavoli, dove – dopo la morte – toccava in sorte all’uomo o il premio di beatitudine o l’eterno castigo.
Nel Novecento, però, dalla letteratura sono scomparse le gerarchie, i diavoli, gli angeli. Una volta nell’aldilà, il morto (dai nuovi narratori) è abbandonato a se stesso; e si ritrova spesso a vagare in dimensioni caotiche e confuse.
Il cambiamento, nel romanzo italiano, si riscontra soprattutto nelle opere di Manganelli e in quelle di Piovene, Malerba, Benati e altri. La cifra distintiva dell’aldilà, nella letteratura della seconda metà del Novecento, diventa quindi soprattutto la solitudine.
I critici definiscono “affollata” tale solitudine, giacché essa è uguale a quella che l’uomo vive nella società d’oggi: una condizione di problematico sradicamento, destinata a continuare anche dopo la morte. I nuovi scrittori sembrano dirci che, dopo la fine, l’essere umano non si risveglia in un lontano mondo, bensì continua a vivere in una dimensione priva di finzione: l’aldilà è la vita, senza illusioni o inganni; lì nulla è governato da un senso, da ciò che è preordinato.
L’aldilà è, in definitiva, la vita priva dell’“inganno consueto” ( quello di cui Montale parla negli “Ossi di seppia”). All’uomo non spetta altro, perciò, che un unico destino di solitudine.
Anche la protagonista del romanzo “La verità nascosta” vive la dimensione di “solitudine affollata”. Ella rompe, infatti, il suo fidanzamento col farmacista, si innamora dello zingaro Boris (che sposa, cui dà una figlia e da cui viene tradita), perde l’eredità del vero padre per un inganno, scopre una orrenda tratta di bimbi ordita dal datore di lavoro e da due complici, è infine uccisa da una vedova amante del marito.
A narrare tali vicende è la protagonista stessa del libro, che racconta “dal sottosuolo”, dove l’assassina l’ha seppellita dopo averla strozzata.
Il racconto è avvincente. La narratrice enumera vicende e fatti consapevole di esporre avvenimenti visti “chiaramente” ora che non è viva: la morte le ha donato una chiave di lettura che i viventi non hanno; ora ella vede tutto, di tutto ha “conoscenza”.
La natura medesima, che ha trasformato sottoterra il suo corpo (modificandone le narici in radici), l’aiuta anch’essa a rivelare la verità della morte. Infatti l’alluvione che investe rovinosamente il paese, la frana che tutto travolge, fa scoprire il luogo del giardino in cui l’assassina ha sotterrato il corpo e conclude la vicenda narrata con il liberatorio esito della giustizia.
La lingua del romanzo è suggestiva, ricca spesso anche di immagini e pennellate eleganti. Ne cito qualche esempio: “Come in un sottomarino privo di armamento e dotato del solo periscopio passo il tempo in attesa della morte vera”; “… mi rincorrono, come saette, fotogrammi del passato”; “Vorrei che il mare mi prendesse come sua particella; piccola molecola d’acqua vorrei diventare”; “… come una risacca sbatte sulla riva le sua schiuma, così lui fa muovere i suoi pensieri dentro di sé”; “Il cielo rovescia sulla terra oceani … L’apocalisse ha bussato alla porta”; ”… nella sua corsa verso il tunnel della pace, neanche mi ha visto”; “Le cime dei monti continuavano ad offrire, nei loro profili, l’equilibrata armonia della natura”; “Ho danzato, al suono di arpe nascoste, fluida nella luce di tutte le luci vibranti”; “… i miei resti … lì dove ero sepolta: sotto oleandri e ligustri, viburni e camelie”.
Un bel romanzo, che suggerisco ai miei migliori amici.
(Facebook, ottobre 2019)
VINCENZO CUTOLO