Venticinque anni fa ero a Sarno, la mia città natale, e vissi anch’io con la mia famiglia la tragedia del sisma.
Dopo tanti anni è triste ricordare quel doloroso evento, che causó morti e rovine. Oggi puó forse servire una riflessione a distanza su quanto avvenne dopo: sugli interventi, le provvidenze, soprattutto sugli errori commessi da tante parti.
Moltissimi miliardi arrivarono nei nostri territori colpiti: quelli stanziati dal governo di Roma e quelli provenienti da milioni di connazionali, dall’Italia e dall’estero. La sciagura provó il valore unitario della humanitas solidale. Sembró quasi che una inedita solidarietà nazionale potesse addirittura smentire la “società stretta” preconizzata dallo scrittore Leopardi nell’Italia dell’Ottocento.
Ma arrivarono anche gli enormi sprechi, i guasti, le rapine, le lentezze, la corruzione, i profitti illeciti di imprenditori e politici, gli egoismi, il vermicaio camorristico. Il valore condiviso della solidarietà nazionale fu stroncato sul nascere. La “nazione” fu l’illusione di un attimo.
Ha scritto il giornalista Antonello Caporale, su “la Repubblica” del 23 novembre 2005, che “anche il leghismo di Bossi deve qualcosa all’Irpinia”. Sono d’accordo. E aggiungo che la tragedia del terremoto fu un’occasione perduta proprio per l’unità nazionale, una colpevole incapacità collettiva di rendere quella sciagura un Grande Evento simile a quelli che, in altre parti del mondo, avevano creato i popoli e le nazioni (si pensi alla Rivoluzione Francese, per i francesi; o alla Rivoluzione Americana, per gli statunitensi).
In un suo libro recente, “Il paese del pressappoco”, Raffaele Simone ha ricordato che né il Risorgimento né la stagione della Resistenza riuscirono a creare un’idea condivisa e partecipe del nostro paese, una identificazione tra società civile e stato. Io ritengo che la grande tragedia del terremoto del 1980 avrebbe forse potuto generare una “nuova alleanza” fra stato e cittadini (un invisibile patto, per cui l’uno si prende cura degli altri e questi rispondono come membri rispettati e rispettosi di un tutto) se solo tutti, cittadini e politici, avessero operato reciprocamente con la dovuta “fiducia civica”.
Anni dopo, nel maggio 1998, quando Sarno perse tante vite umane a causa della forte alluvione, l’indifferenza nazionale per la nuova tragedia (come ben testimonia il libro di Lucia Annunziata “La crepa”) provó con amara chiarezza che la “nazione” non c’era piú. Non c’era piú la “fiducia”.
Personalmente, promossi una raccolta di fondi per Sarno, a Zurigo, fra i connazionali emigrati. Molti di costoro scrissero, sul foglio delle firme: “I miei soldi non li do alla camorra”. Col termine “camorra” essi non volevano intendere solo l’insieme di bande che continuano a infestare il territorio campano. Volevano anche dire che la classe politica non meritava alcun aiuto, se l’aiuto (come avevano mostrato i fatti del dopoterremoto) non produceva riscontri positivi e oggettivi.
Non so se i contributi statali, erogati per Sarno dopo l’alluvione, siano stati spesi con trasparenza e saggezza. Non so neppure se chi perse la casa e i beni abbia potuto tempestivamente riaverli. Coloro che sopravvissero ai lutti hanno forse rielaborato il dolore, ma non sembra che essi vivano in una realtà urbana all’altezza dei tempi. La città appare ancora ferita, quasi spenta, priva com’è di fondamentali servizi e civismo.
Stupisce che Sarno non abbia piú neppure un teatro. I locali per il cinematografo sono anch’essi un lontano ricordo: l’Aurora, il Moderno, l’Augusteo. Al loro posto oggi sorgono banche, siti commerciali. Sento dire che i giovani, che sono tantissimi, quando hanno voglia di cinema o di teatro vanno fuori città.
Sorprende anche una contraddizione inspiegabile. Negli anni Settanta e Ottanta, con una popolazione studentesca e intellettuale numericamente inferiore a quella attuale, Sarno era centro di iniziative culturali socialmente apprezzate, di cui i giovani erano protagonisti vitali. Oggi i giovani intellettuali sono maggioranza: tantissimi i laureati, gli universitari, gli studenti dei licei e di altri istituti. Ma la vitalità culturale non è piú quella di alcuni anni fa.
Cosa accade? Il consumismo ha omologato tutti i nostri ragazzi? La fiducia, il patto fra cittadini e istituzioni sono ormai valori senza speranza?
(“Eventi”, dicembre 2005)