In una piantagione di Tahiti (di cui è proprietaria una Compagnia inglese) lavorano, alle dipendenze di sorveglianti francesi, circa cinquecento braccianti “chinaghi”, fatti venire dalla Cina per un contratto quinquennale che prevede la paga di 50 centesimi messicani al giorno. Il bracciante Ah San uccide, in una capanna, il compagno Chung Ga con due coltellate. Altri cinque braccianti scoprono il delitto e vedono l’assassino scappare. Essi vengono, però, sorpresi e accusati dal sorvegliante Schlemmer. Poiché si sono segretamente accordati a non testimoniare l’uno contro l’altro, i cinque in tribunale vengono condannati (Ah Chow alla ghigliottina, gli altri a pene detentive varie). Ma, per errore, viene mandato a morte il chinago Ah Cho.
La vicenda, narrata da Jack London nel racconto The Chinago del 1909, contiene belle e avvincenti pagine relative sia alla dimostrazione che Ah Cho è innocente, sia ai preparativi per l’esecuzione dell’innocente bracciante. Il racconto è ora stampato dalla Editoriale Scientifica di Napoli, in edizione fuori commercio con traduzione di Alessandra Goretti, a cura dell’ Associazione Astrea – Sentimenti di giustizia, nata nel 2014 per iniziativa di un gruppo di giuristi e operatori culturali (il cui obiettivo è “approfondire i temi della giustizia, in una prospettiva indicata dalla pluralità di significati attribuiti nel corso della storia al termine stesso, tesa ad esplorare i nessi che la legano a campi del sapere apparentemente estranei al diritto positivo, come la filosofia, la letteratura, la storia, il cinema e le arti figurative”).
The Chinago è il primo esempio letterario di cui è protagonista un “disumano meccanismo repressivo”, alimentato da superficialità, prepotenza e rassegnazione (sentimenti da bandire non solo dalle aule di giustizia). L’iniziativa dell’Associazione napoletana va segnalata come un evento certamente lodevole e costruttivo, nel segno di una Giustizia (rievocante l’ ovidiana “virgo Astraea”) che sempre più si allontana dal genere umano, “atterrita dall’odio che vi si diffonde”.
(Ulisse cronache, Anno II, numero 22, 1 febbraio 2015 )
VINCENZO CUTOLO