Nella favola Ciò Ciò la busta di plastica, di cui è autrice Cecilia Coppola, si ritrovano funzioni e dinamiche che sono tipiche della fiaba (il distacco, il viaggio, l’ostacolo, il donatore, l’aiutante, la trasformazione) anche se vi appare chiaro l’intento morale che ha da sempre caratterizzato la “fabula”. Il distacco “per conoscere il mondo”, all’inizio della vicenda, vede la protagonista (“un’azzurra busta di plastica”) separarsi dalla madre Plastibust fra le raccomandazioni di questa e le lacrime dell’operaia Fracalù. Articolato e difficoltoso è il viaggio (ovviamente “viaggio di formazione”), che si snoda su piani duplici, dal reale alla dimensione del sogno, segnando fasi e sviluppo della Bildung di Ciò Ciò. Da una scatola a un supermercato, dalla bici del ragazzo Sisolo alla verde campagna, dal caotico traffico urbano a una spiaggia del mar Tirreno, Ciò Ciò apprende cosa siano una nave, il vento, un albero, cosa siano le vetrine e le merci, come vive la gente in città, quale immensa bellezza abbia il mare.
Ma il suo viaggio ha anche le ali del sogno: Ciò Ciò “vola” sulla foresta amazzonica, scopre fiumi e piante da una nave-orchidea, “vede” attonita la “risorsa di verde senza pari” del mondo. Ed ancora: ella “vive”, come fosse un colombo, anche il “tempo dell’emigrazione” (l’Egitto, il deserto, i beduini, ritrovando se stessa a occhi chiusi tra odalische e cammelli). Varie forme ha l’ostacolo: cani assai minacciosi, tacchi a spillo, ruote di motorette, calci umani (Ciò Ciò sembra quasi soccombere, sotto colpi e pedate); più pregnanti e perniciosi fra tutti, l’elica di un motoscafo, e i rifiuti maleodoranti del mare, galleggianti fra bottiglie e lattine. Donatori per la Bildung sono il vecchio nonno di Sisolo, la fanciulla Spumina (che insegna il nuoto a Ciò Ciò), il pescatore dal tappeto fatato. A salvare Ciò Ciò dagli ostacoli concorrono due figure di aiutanti: prima Sisolo (che la libera dai veicoli urbani e dall’aria appestata), poi Buchettino – il “mago” della tradizione fiabesca – che la salva sia dalle fitte dei miasmi marini, sia dallo status originario di oggetto (trasformandola in “bambina Ciò Ciò”).
La fiaba antica e anche quella moderna si concludono spesso con la trasformazione dell’eroe della storia: il burattino di legno, il ranocchio, la bestia, il brutto anatroccolo – per citare solo alcuni fra i tantissimi esempi – mutano forma e status (farfalle nate da una crisalide divenendo rispettivamente Pinocchio, due principi, un cigno). La fiaba–fabula della Coppola non si conclude, però, con la individuale mutazione liberatoria. Ciò Ciò busta di plastica divenuta bambina in carne, ossa e sangue, sviluppa una mutazione ulteriore, che è una mutazione di massa: tutti gli esseri umani sono spinti a utilizzare “buste non inquinanti”, preparate con stoffa, seta, lana, scampoli di carta.
Addirittura la mutazione si allarga: dagli uomini fino alla volta celeste, ai pianeti, dove trova infatti posto una nuova costellazione dalla forma di busta, il cui segno zodiacale Busta Ciò Ciò “brillerà per sempre nel firmamento”. L’intento didascalico del racconto, volutamente denominato “favola” dalla scrittrice, non appesantisce la levità fiabesca della vicenda (narrata con una lingua semplice, musicale). Anzi, ne definisce l’urgenza e la modernità. Non a caso, Ciò Ciò la busta di plastica ha ispirato l’omonimo film televisivo della regista Antonia Pilosio (presentato con successo a Umbriafiction e al Ragazzi-Festival di Giffoni); il messaggio ecologico-morale che ne promana può, infatti, sprigionarsi pedagogicamente soprattutto attraverso il mezzo di comunicazione più “ecumenico” di cui l’uomo dispone.
( Il Golfo, 6 novembre 1993 )
VINCENZO CUTOLO