La scuola verso l’Europa
Il convegno nazionale di Cirò Marina
Cirò Marina, una ridente cittadina jonica a pochi chilometri da Catanzaro, organizza da tre anni un Convegno nazionale di elevato livello culturale sul tema “La scuola italiana verso il 1993” (gli atti del primo Convegno sono stati già pubblicati per le edizioni Marietti; quelli del secondo anno sono in corso di stampa).
Promotori dell’encomiabile iniziativa sono l’ispettore Francesco Fusca e i docenti Francesco Ierise e Giuseppe Russo, accanto ai quali lavorano con impegno le istituzioni scolastiche locali, le Amministrazioni di Cirò Marina e dei Comuni viciniori, i dipartimenti di Scienze dell’Educazione delle Università di Calabria, Bologna, Bari, Genova, Ferrara.
Quest’anno il tema del convegno verteva su “Lingua e linguaggio” della scuola italiana in vista dell’appuntamento con l’Europa del 1993 e lo hanno trattato, con profonda problematicità, i professori Franca Pinto Minerva (dell’Università di Bari), Giovanni Cattanei (dell’Università di Genova), Franco Frabboni (dell’Università di Bologna) e Luisa Santelli (dell’Università di Bari).
Le relazioni di base
Franca Pinto Minerva ha analizzato lo sviluppo plurilinguistico, la dinamica della lingua nello spazio e nel tempo, le “trame linguistiche e simboliche”, sottolineando come oggi sia quanto mai necessario – per le popolazioni europee – acquisire una coscienza meta-culturale nella consapevolezza del comune destino e del comune impegno sui grandi temi dell’ambiente, della lotta alla povertà, dello sviluppo, della pace.
Giovanni Cattanei ha insistito sulla necessità, per la scuola italiana, di guardare a un’Europa non unita, fusa, ma integrata, articolata, patria della varietà e dell’interculturalità: per una siffatta Europa – egli ha detto – la nostra scuola deve saper muovere da una solida identità di sé (rafforzando e valorizzando lo studio della lingua italiana e il patrimonio culturale degli insegnanti) e da una sana didattica delle lingue straniere (cui va affidato un compito “formativo” di “incontro umano”).
Franco Frabboni ha parlato del ruolo e delle competenze dell’insegnante, sottolineando come il docente abbia finalmente conquistato – con l’avvento della pratica della programmazione educativa e didattica – l’opportunità pedagogica di convertire la propria professionalità (trasformandosi in progettista dei percorsi di socializzazione e di apprendimento, prescritti dal legislatore, e potendo “insegnare ad apprendere” in dimensione meta-cognitiva piuttosto che “informare”).
Luisa Santelli ha trattato il tema della pedagogia sociale, evidenziando il significativo ruolo affidato alla famiglia, alla scuola e alle Istituzioni per una più costruttiva integrazione culturale dei popoli europei (cui si vanno sempre più affiancando gli immigrati dell’Africa e del Terzo Mondo, con delicati problemi di convivenza).
Il dibattito
Sul tema “Multiculturalità, multietnicità, multirazzialità” hanno discusso i professori Giovanni Genovesi (dell’Università di Ferrara), Giovanni Massaro (dell’Università di Bari) e Giuseppe Trebisacce (dell’Università della Calabria), concordando sulla necessità – per la scuola e la società italiane – di ispirarsi a princìpi di tolleranza, di solidarietà e di apertura allo “scambio” culturale e umano. Numerose e interessanti le comunicazioni: del Preside V. E. Esposito; del Direttore de «L’educatore» S. Neri; della dottoressa C. Vit dell’Università di Genova; di E. Catarsi dell’Università di Ferrara; della Direttrice didattica A. Marzano; dello scrittore P. Bruni.
Un appassionato intervento sui dialetti (in particolare sul dialetto albanese: l’arbresh) è stato pronunciato dall’ispettore Fusca, la vera “anima” del convegno di Cirò Marina.
Il teatro
Io sono intervenuto per illustrare il rapporto tra la scuola e il linguaggio del teatro, un linguaggio rinnovato radicalmente a partire dalla fine degli anni Sessanta. Ho ricordato le esperienze di Giuliano Scabia, di Mario Lodi, Franco Passatore, Loredana Perissinotto, Remo Rostagno, Mafra Gagliardi e tanti altri, che introdussero nella scuola il teatro dei ragazzi e l’animazione (contribuendo alla nascita di quella particolare drammaturgia che, a giudizio di Gian Renzo Morteo, è stata addirittura più significativa degli stessi risultati dell’avanguardia).
Ho poi sottolineato come oggi, a distanza di un decennio dalla “morte dell’animazione”, il rapporto teatro-scuola sia per lo più affidato alla fruizione passiva (da parte di alunni prevalentemente del Nord e del Centro Italia) di spettacoli allestiti da oltre ottanta compagnie professionistiche impegnate nel Teatro Ragazzi, le quali hanno recuperato non solo le esperienze e i linguaggi dell’avanguardia teatrale italiana e internazionale, ma addirittura l’impegno spesso diretto degli “innovatori” degli anni Sessanta–Settanta (Rostagno, Perissinotto, Formigoni e altri).
Ho infine ricordato una mia personale esperienza, del 1987 a Sarno, di spettacolo allestito all’interno della scuola con alunni e docenti impegnati come attori in modo paritario: il “Lucullo” di Bertolt Brecht, costruito con la tecnica del teatro nel teatro e articolato in due momenti, uno realistico (in cui l’araldo espone il fasto del corteo funebre di Lucullo, “vissuto” dallo spettatore attraverso il cinema), l’altro “fantastico” (dove lo speaker del regno dei morti anima una rappresentazione di processo proletario che vede imputato e condannato il “grande della storia”).
Mediante costumi, maschere, cori, musiche, ma soprattutto mediante la recitazione di “attori” piccoli e grandi (nelle scuole di periferia è ancora possibile trovare giovani docenti animati da “tensione didattica” e aperti alla sperimentazione di linguaggi “nuovi”), alcuni insegnanti e io riuscimmo a dare veste spettacolare a pagine di poesia che sanno ancora oggi parlare alla ragione degli uomini.
Accanto alla fruizione spesso passiva di spettacoli “esterni” (professionalmente perfetti, tuttavia, distribuiti dall’ETI solo su una parte del territorio nazionale) e in alternativa alle anti-didattiche “recite scolastiche” della vecchia ritualità, la scuola può proficuamente utilizzare – a mio avviso – il linguaggio del teatro servendosi in modo autenticamente interdisciplinare di docenti “esperti” (sia per la specifica preparazione universitaria, sia per la più elevata cultura “tecnica”), disponibili a “giocare nel luogo dello sguardo” e a “divenire come i fanciulli”, nell’ineguagliabile rapporto magico-misterico tra realtà e finzione che solo il gioco del teatro sa consentire.
( Scuola e Didattica, Anno XXXVII n. 2, 15 settembre 1991 )
( L’Educatore, ANNO XXXIX n.4 , 1 ottobre 1991 )